Il paradigma di
Striscia, Costanzo, Le Iene, Mandela. La via della rovina e i
vostri dubbi.
C’è un dubbio
fondamentale che perseguita le menti di tanti lettori
intelligenti e coscienziosi, non scherzo, non c’è ironia. Essi sanno
bene che, a dir la verità, diversi fra i nomi che
costellano la loro progressione civica e intellettuale sono non proprio
immacolati, eppure servono. Travaglio pecca di arroganza, è un filosionista
quindi paladino di una giustizia part time, si
dimostra omertoso coi suoi compagni di merende, non parla mai del vero Potere,
il suo giornale meno che meno, ci annebbia la vista ipertrofizzando Berlusconi.
Ma è innegabile che senza di lui migliaia di cittadini, soprattutto i
giovanissimi, non avrebbero mai avuto le conoscenze per combattere l’odierna
Casta, poiché Travaglio è a tutti gli effetti un
cronista che morde duro alle calcagna del clan di Arcore. I lettori sanno che
Milena Gabanelli… oddio, avete letto Dagospia l’altro giorno? Che brutto l’inciucio della signora di Report con Prodi, la Sogin e
Massimo Romano; se è tutto vero c’è da preoccuparsi tanto. E poi
che fastidio la vicenda con Barnard e Censura Legale, una bruttissima macchia
per lei. E le puntate pro
Tav e quella sul debito pubblico? Ohi, ohi… Così come
la culla craxiana da cui la paladina proviene, non proprio un pedigree da
paladina, appunto. Ma se togli Report cosa rimane in
Italia? Senza le puntate di Milena, è innegabile, c’è il buio, la morte civile
in Tv. I lettori sanno altresì che Antonio Di Pietro ha firmato lo scandaloso Trattato
di Lisbona, che maneggia i denari di partito con una certa disinvoltura, che
quel suo figlio lo ha a dir poco allevato male e protetto troppo, che sguazza
nel fango inquietante della Casaleggio Associati, con tutte quelle connessioni
in Telecoms e banche d’investimento (leggi la Mafia maggiore), e che l’ex magistrato puzzicchia un poco (tanto) di giustizialista
di destra. Eppure Tonino fa
battaglie che non si possono non condividere, e di nuovo va detto che se togli
lui, alle urne che si fa? Grillo, mamma mia, neppure inizio, già
sapete, i miliardi, il merchandising alla Vanna Marchi, le sparate nel mucchio,
la censura sul suo blog, la “gestione fascistoide
delle sue liste”, la Cultura della Visibilità replicata… Ma anche Beppe
rappresenta in Italia una sponda fortissima che ha fermato il naufragio dei
Movimenti dopo il 1999 e dopo il flop di Nanni Moretti, l’unica così potente a
dir la verità. Facebook, in ultimo, si sa che è uno strumento
di obnubilazione di massa, che ha strappato ai cittadini la più immensa
banca di dati personali nella Storia (se la ridono alla CIA, Microsoft,
Telecoms, e ITCompanies, o i tipi alla Bearing Point, Murdoch, Pio Pompa ecc.)
e che sta esasperando il rovinoso attivismo di tastiera. Tutto vero, però
è Facebook e
non altri che permette oggi a tantissimi membri della famosa ‘massa’, e di
nuovo ai ragazzini/ragazzine, di essere raggiunti dalle parole dei
sopraccitati, dei dissidenti, dalle notizie censurate, e anche dalle tue di
parole caro Barnard, cosa che non sarebbe mai accaduta senza. Allora, sono da
tenere o da buttare tutti costoro?
Qui sta il dilemma di
tanti. Esso alberga in quell’angolo recondito dell’anima dove ha luogo un
fastidioso tiro alla fune fra la coscienza (“non sono puliti, non fidarti”) e
il realismo (“sarà anche, ma sono utili però”). La coscienza reclama l’integrità
morale sopra ogni cosa, il realismo la considera, al contrario, una pericolosa
devianza fanatica che finisce per cancellare dalla società anche quel poco di
buono che c’è. E Barnard ne incarna il peggio, alcuni dicono, fosse per lui
avremmo un mondo senza Marco, Milena, Tonino, Beppe e neppure Facebook. Bella
roba.
Voglio rispondere a quel
dilemma, una volta per tutte, è terribilmente
importante. E vi dico subito che la vittoria nel tiro alla fune delle forze del
realismo è una catastrofe, le cui propaggini precedono nel tempo il fenomeno
dei ‘paladini’ dell’Antisistema e le cui conseguenze pagherete terribilmente
care. Per capire cosa sto dicendo considerate Striscia la Notizia, il Costanzo
Show, le Iene. Questi fenomeni di comunicazione di massa ricalcano
perfettamente gli ingredienti dei sopraccitati fenomeni di comunicazione
alternativa. Vi si trova infatti un abile mix di
negativo e positivo, talmente abile che il medesimo dilemma assale altri
cittadini: sì, sono buffonate, è tutto per far soldi, Costanzo è un padrino
piduista, tritano tette culi e gossip caciarone… ma... Ma a dire il vero Striscia
e le Iene denunciano una valanga di porcherie a milioni di cittadini (a delle audience mille volte la nostra) che altrimenti non
le saprebbero mai, e i politici rispondono in fretta; a dire il vero hanno il
coraggio (e i soldi) di sputtanare un sacco di malfattori su segnalazioni di
persone comuni, cosa che il Corriere o il TG1 e neppure il Fatto farebbero mai,
ed è questo lo stare dalla parte della ‘gente’; a dire il vero l’Italia è
costellata oggi da migliaia di famiglie che devono la loro salvezza o perlomeno
un aiuto vitale a Greggio, Lucci, o a Costanzo. E non fu quest’ultimo che portò
in televisione per primo la lotta contro la discriminazione dei sieropositivi?
Non ha proprio lui contribuito all’accettabilità dei disabili, degli
emarginati, degli ammalati portandola per decenni nei salotti dell’Italietta
discriminatoria e razzista? Ed ecco che milioni di italiani
degni risolvono quel loro tiro alla fune col medesimo realismo che nell’Alternativa
assolve Travaglio, Grillo e Facebook: ok, hanno mille difetti, ma alla fine
fanno una montagna di cose giuste, punto.
Lo so che siete già
schizzati in avanti con la risposta, ma vi blocco. Attenti. Vi è facile
scartare queste ultime conclusioni seppellendole con una montagna di critiche
all’abiezione del sistema massmediatico Mediaset, dopotutto lo amministra “il
diavolo”, dico bene Tonino? Ma chiedo: se riuscite per un
attimo a rimanere osservatori esterni, distaccati, potete forse evitare di
vedere che il paradigma dell’assoluzione di Striscia, Iene e Costanzo è
identico a quello che invece così generosamente applicate a Grillo, Gabanelli e
Co.? Non è forse vero che in entrambi i casi entra in funzione una bilancia sui
cui piatti è stato messo il male e il bene, e che si è fatta pendere dalla
parte del bene nel nome di un interesse collettivo superiore? Lo fate voi coi paladini e con Facebook, ma lo fanno milioni di altri
esseri umani degni con Ricci, Blasi e Costanzo. Forse che il vostro interesse è
di natura superiore al loro?
Eppure la cosa è, e vi è,
ovvia: voi stessi argomentereste subito, in un dibattito con i fans dei
paladini di Striscia e Co., che il danno complessivo e a lungo termine che il
Sistema massmediatico berlusconiano fa alla società è
immensamente superiore ai vantaggi a breve termine delle loro battaglie civiche
e di denuncia. Gli direste che, parafrasando il Vangelo, “non puoi servire
due padroni”, o stai dalla parte della morale civica sempre oppure non vali
nulla; non puoi da una parte rimestare Vippismo e culi
e dall’altra predicare virtù; il mix che ne esce è mefitico, la gente ne viene
inquinata, anzi, peggio, in essa si innesta una dissociazione percettiva
fatale, quella che avvalla il fatto che se con una mano fai il bene con l’altra
puoi anche lordare il tuo mondo, te lo si perdona.
Bene, ogni singola
parola scritta sopra io ve la rigiro sui vostri
paladini e su Facebook. Chi come loro è morale part time; chi è mosso
da compassione da questa parte ma spietato da quell’altra; chi sfodera la spada
con quei potenti ma fa lo stuoino con questi altri; chi si batte per i diritti
di qua ma affossa quelli di là; chi grida alla censura contro i suoi compagni
ma si zittisce su quella contro i suoi avversari; chi grida i fatti di questo
potere ma tace su quelli dell’altro Potere; o chi regala libertà di sapere a milioni
mentre incatena i medesimi milioni dietro le spalle, produce nel lungo termine
un danno alla fibra etica della collettività che è immensamente superiore a
qualsiasi beneficio nel breve termine. Perché, sia chiaro e scolpito nella
memoria: dal principio morale esteso a 360 gradi non ci si dissocia mai se si
vuole veramente cambiare la Storia, a costo di soccombere per anni, secoli. Perché solo una cosa, e una cosa sola, può alterare la corruttibilità della nostra epoca: persone che sappiano aderire a quel principio morale a qualsiasi costo, sempre, e non part time. Accontentarsi di paladini dalla rettitudine a singhiozzo è il destino che ha in serbo per noi il Potere; se il popolo degli attivisti fa tanto di adagiarsi sul vecchio detto che "piuttosto che niente è meglio piuttosto", ovvero "piuttosto che Berlusconi e Vespa sono meglio Travaglio che ride in faccia ai morti della Palestina, Grillo che confabula con Casaleggio, Gabanelli che censura i suoi spettatori critici" il gioco è fatto, siamo fregati, perché il fondo di quel "piuttosto" non c'è, è mutabile, è comprabile, e certamente un sistema bastato su tali mollezze non ha la fibra per confrontarsi in alcun modo col Potere.
Non so pensare a un esempio migliore per illustrare ciò della parabola di Nelson
Rolihlahla Mandela, che è qui terribilmente illuminante. Quell’uomo fu una
luce per l’Africa e per l’umanità intera finché mantenne una fanatica adesione
al principio morale a 360 gradi. Divenne poi un deplorevole zimbello nell’istante
in cui si perdonò, e gli fu perdonato, di essere una luce part time, perché, si disse, “va
bè, intanto è utile però”. Nel 1994, quando ero in Sudafrica come
corrispondente, parlai a lungo con Kader Asmal, membro del Comitato Esecutivo
Nazionale dell’ANC di Mandela, e rimasi affascinato
dal racconto che egli mi fece dei tanti e crudeli tentativi del regime di
spegnere la luce di Nelson. Nei suoi 27 anni passati a
spaccare pietre fra Robben Island e altre carceri, con le cornee bruciate dalle
polveri dei sali, con le angoscianti notizie sulla sorte di sua moglie e sulle
torture e i massacri dei suoi compagni, Mandela fu costantemente sottoposto a
offerte di libertà su condizioni: firma questo, rinuncia a quello, impegnati a
non dire più quest’altro, compromettiti anche solo un poco, media sulla tua
fanatica adesione ai principi… e avrai la libertà, e salverai i tuoi compagni
dalle sevizie, e tornerai nelle braccia di quella povera donna là fuori.
Immaginate, se potete, cosa significhi dover scegliere in
quelle condizioni, consapevole che la probabile alternativa era la
morte in cella e il buio per milioni di neri. Ma
Nelson Rolihlahla Mandela disse sempre no. Al principio morale non si
deroga mai, neppure in una microscopica percentuale. Non si possono “servire
due padroni”. Nelson sapeva allora che la convivenza della rettitudine con
l’occasionale cedimento al vizio, e cioè quello che gli veniva
proposto, avrebbe certamente portato grandi benefici nel breve termine a tutta
la sua gente, ma danni indicibilmente superiori nel lungo termine. Poi fu
liberato, e cadde nelle mani del Fondo Monetario Internazionale e dei ‘pedagogisti’
politici del Washington Consensus: cambiò, tanto, forse era, a quel punto,
veramente sfibrato. Di fatto fu il tracollo, la storia politica ed economica del
Sudafrica del Presidente Mandela è stata deplorevole, vergognosa, ma non è
questo il luogo in cui trattarla. La rovina di quell’immenso
eroe civico e di tutto il suo popolo fu proprio l’accettazione da parte
di se stesso e da parte dei suoi sostenitori, negli anni della sua ascesa al
potere, del paradigma che ho spiegato sopra, precisamente quello: “va bè,
non è immacolato, ma senza di lui sarebbe peggio”. La Storia non si fa coi se, ma sono profondamente convinto che se la sua gente
gli avesse gridato in massa di rimanere cocciutamente fedele ai principi morali
a 360 gradi della sua prigionia, e
se anche nel nome di ciò Nelson Mandela non fosse mai stato presidente, il
futuro del Sudafrica non sarebbe l’incubo odierno di 10 milioni di persone
senza acqua né elettricità, di violenza inaudita nero su nero, e di
soffocamento a tempo indeterminato nelle morse di un regime ben peggiore dell’Apartheid,
quello Neoliberale.
Che la vittoria nel tiro
alla fune del realismo ("hanno falle, ma dopotutto sono utili") contro la
coscienza ("utile è solo il principio morale senza deroghe") abbia sempre portato (come
porterà nel caso dei vostri paladini e dei social networks)
a danni immani nel lungo termine, è dimostrato da molte altre istanze, che esse siano la
deplorevole discesa nel compromesso dei sindacati occidentali da 30 anni
a questa parte nel nome del realismo economico, o del movimento dei neri americani dopo la morte di Luther King nel nome dell'accesso all'American Dream, oppure la
diluizione del principio della sacralità dei beni comuni come l’acqua, la
salute e l’istruzione nel nome dell'efficienza. In ciascuno di questi casi una folta schiera di pensatori realisti aveva sostenuto, gridato, che pretendere l'integrità morale a 360 gradi da sindacati, leader di minoranze, o gestori del bene pubblico, cioè dirgli "o così oppure tanto vale senza", era "una pericolosa
devianza fanatica che finisce per cancellare dalla società anche quel poco di
buono che c’è". Nulla di più errato, e infatti nel lungo termine siano giunti all'epoca della svendita del diritto al lavoro, alla permanenza della schiavitù da salario, al razzismo non più per colore ma per accesso ai consumi, e all'idea aberrante che la vita stessa si possa privatizzare.
E dunque, quando io
sostengo che nell’interesse della fibra etica della nostra collettività nel
lungo termine sarebbe sicuramente meglio che sparisse Report se Report deve
essere Milena Gabanelli, o il Fatto se il Fatto deve essere Marco Travaglio, o i
blog/social networks se devono essere Grillo e Facebook, non
bestemmio affatto. Per salvare l’Italia sarebbe augurabile che
esistesse un nugolo di anonimi cittadini coi piedi
fermamente puntati sull’idea che il principio morale deve essere mantenuto a
360 gradi, sempre, a qualsiasi costo, in ogni azione e verso chiunque,
piuttosto che bearci di una folla immane guidata dai paladini part time che voi
perdonate.
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