PER NOIA. PAURA DELLA NOIA.
Sono a Londra per salutare una persona cara che sta morendo. Sono i saluti di chi è in coda, solo pochi passi più indietro. Mi sembra una
parodia, e sinceramente con tutto il dolore di prima e di dopo, insisto a dire
che non vale la pena essere creati. E salutarsi.
Passo in treno su un ponte di cui non so il nome – ho
vissuto qui un secolo e non so che ponte è, ce ne sono troppi – mentre di sera
torno in città. Sulla mia destra per pochi secondi ho la City, il polo
finanziario più grande del mondo, quello che secondo la Banca d’Inghilterra
arriverà a valere 9 volte tutto il PIL della Gran Bretagna fra vent’anni.
Quello di Londra, una città le cui proprietà immobiliari da sole valgono esattamente come il PIL del Brasile. Per
me è stato come se quei secondi fossero durati un intero colloquio. Io gli ho
detto chi sono e che di loro parlo, loro quelli che sono lì alle 22,46 di sera dietro
quei rettangolini a lucine bianche dei grattacieli. Ciao, finalmente ci si
guarda in faccia.
Mi hanno aperto la porta e fatto una tazza di caffè. Hanno
solo paura. Della noia. Hanno, loro più di noi, paura del rumore della noia che
è lo stesso del Tamigi stanotte, la noia fa il rumore della melma del Tamigi. Per
loro è orribile. E sotto a ogni centro di potere c’è sempre quel rumore,
la noia, che li perseguita, ma qui a Londra quel rumore ha più stile che a New York o Singapore,
perché il Tamigi ha un grande stile nel ricordargli la noia. Melma. Meglio che salgano al settantacinquesimo piano, i grattacieli del potere esistono per questo, per allontanarli
dal rumore della noia. La noia, al contrario della morte, fa rumore e ne hanno
una paura indicibile, non della morte. Gli imperi, anche questo che varrà 9
volte il PIL inglese, vengono fatti per coprire la noia, il suo suono. Pensateci.
Abbiamo finito il caffè. Li lascio nella loro paura.
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