“E JOHNNY PRESE IL
FUCILE”. E GLI ATTIVISTI PERSERO IL TRENO. TRAGICO. LDLD.
Le divise. Elmetto. Mitra. Una paga. Poi l’orrore di guerre,
stragi, morte, abominio d’ingiustizie. Poi a casa. E a casa…
Diversi anni fa mi appellai a un gruppo d’intellettuali anglo
americani, fra cui il mio solito Chomsky, dicendogli: “L’attivismo ha fallito. Usa sempre gli stessi metodi, già defunti, e si
rifiuta di cambiare. Dobbiamo creare un
gruppo di lavoro di storici, antropologi, filosofi, attivisti che analizzino I
FATTORI DEL CAMBIAMENTO nei diversi periodi storici, e ci sappiano dire come
oggi essi vanno RIPENSATI. Poiché mi sembra evidente che ciò che funzionò
nell’800 o nel dopoguerra o negli anni ’70, non possa essere usato oggi
immutato, perché negli ultimi 35 anni hanno letteralmente cambiato il Pianeta
nel DNA. Oggi il Pianeta ci parla con una lingua totalmente diversa. Allora,
quali sono oggi i I FATTORI DEL CAMBIAMENTO per un attivismo che abbia effetto?”.
Non ebbi alcun successo, oltre a un tiepidissimo e parzialissimo
cenno di assenso di Noam, che però non si spinse oltre. Bene. Oggi il
fallimento dell’attivismo è così macroscopico, così desolante e disperante, che
il sopraccitato Chomsky pochi mesi fa si è fatto sfuggire in un dibattito con Lawrence
Krauss l’ammissione, a me negata allora, che oggi le cose vanno immensamente
peggio rispetto a decenni, secoli, o persino millenni fa, nonostante progressi
in alcuni subsettori sociali. Alla faccia dell’attivismo moderno, e alla faccia
sua, visto che quelle parole furono esattamente ciò che io gli avevo detto, inutilmente,
nel 2006.
Ed ero in bicicletta l’altro pomeriggio, quando mi sono
messo a dibattere, nella mente, con Krauss, che è invece un accanito
sostenitore dell’indubbio progresso dell’umanità grazie proprio all’attivismo e
agli intellettuali. Ed ero a un semaforo quando mi è venuta in mente
un’angolatura particolare attraverso la quale scoprire se Krauss ha ragione o
torto marcio, cioè se l’attivismo ha funzionato davvero. E’ un punto di vista piuttosto
inedito:
Il tasso d’arruolamento
negli eserciti delle due potenze imperiali di oggi, USA e GB.
Semplice: a 45 anni dal capolavoro “E Johnny prese il fucile”, e dopo 45 anni di retorica anti bellica globale
a ‘sinistra’, marce, slogan, libri, film, dibattiti, denunce sparate anche dai
grandi media e da Hollywood… cioè ATTIVISMO CONTRO LE GUERRE, chiediamoci: i
giovani inglesi e americani con quale disponibilità vanno oggi a produrre morte,
vanno a morire o si devastano per il Vero Potere? Molto minore? La medesima? O
più volentieri? Che aria tira nei Ministeri della Difesa di Washington e di
Londra? Non sanno più cosa inventarsi per reclutare soldati? Sono messi benino?
O le cose vanno a gonfie vele?
Ho girato la bicicletta, sono tornato a casa e li ho chiamati,
intendo dire l’Esercito americano e quello inglese. E qui sta la storia. Ma
prima va letto quanto sotto, e va letto bene.
L’aforisma “Quando i
ricchi fanno la guerra, sono i poveri che muoiono” è vecchio di secoli, ma
è tragicamente vero. E fra i poveri, si badi bene, ci sono anche i soldati, che
in tutte le guerre dell’umanità fino a oggi sono nella stragrande maggioranza anch’essi
d’estrazione bassa, proletaria, giovani che in tempi moderni si arruolano
perché se no non hanno di che vivere. Nel 1971 il regista Dalton Trumbo fece il
film “E Johnny prese il fucile”, un
atroce quadro di cosa patisce il reduce di guerra traumatizzato dopo aver
combattuto per il Vero Potere, e cioè come i soldati sono regolarmente spremuti
dal Capitale, ma poi abbandonati come cani rognosi al loro ritorno in
condizioni devastate. Il capolavoro di Trumbo vinse il Grand Prix Speciale al
Festival di Cannes, e questo è un punto cruciale: nessuno può dire che quella denuncia
fu oscurata dai media, fu nascosta al pubblico, fra cui milioni di giovani
intenzionati a divenire soldati.
Ma poi arrivò anche Hollywood a gridare feroce contro il
Vero Potere che alletta la gioventù coi miti della guerra, ma che poi li
abbandona come spazzatura una volta sfruttati. Cito solo per brevità Oliver
Stone, Tom Cruise, e il loro “Nato il
quattro di luglio” del 1989, che fecero il giro del mondo due volte,
riempirono la stampa con migliaia di polemiche e recensioni, riflettori
puntati, altro che oscuramento dal pubblico. Il film racconta la vera storia
del veterano del Vietnam Ron Kovic, rimasto in carrozzella, e divenuto un
leader del pacifismo. Addirittura nella vita reale Kovic arrivò a parlare
all’America tutta dal podio della Convention del Partito Democratico a New York
nel 1976. Hollywood e mega-politica: più divulgazione anti-guerra di così…
Io stesso ricordo i brividi lungo la schiena
leggendo il libro “Nam” di Mark Baker scritto negli anni ’80 e dove
l’autore raccontò per la prima volta la guerra del Vietnam dalle parole dei
‘grunts’, cioè dei marines di grado più basso che l’avevano combattuta, ma che
poi una volta tornati in USA trovarono un inferno forse peggiore di quello della
guerra: abbandono sociale, tumori da Agente Arancio (un defogliante usato nella
giungla) ma no cure, no case, no lavoro e quindi alcolismo, droghe,
disperazione. Baker fu recensito dal Washington Post, nientemeno, mica il Resto
del Carlino, e anche qui le scuse stanno a zero: esposizione al pubblico enorme
dell’inganno ignobile nell’esser soldati. Come per l’altro volume di simile
denuncia, “Everything
We Had: An Oral History of the Vietnam War by 33 American Soldiers Who Fought
It” di Al Santoli, pubblicato dal
gigante editoriale Random House, non da una copisteria del Montana.
Dopo la prima Guerra del Golfo del 1991, esplose sui media e in Tv la polemica sulla cosiddetta Sindrome del Golfo, e cioè una serie inquietante di malattie degenerative che afflissero decine di migliaia di reduci americani e inglesi dopo quel conflitto, e anche qui i poveretti furono abbandonati a se stessi, o aiutati in modo miserrimo dai loro governi. E anche qui i riflettori spararono al massimo, a cominciare dal libro “Gulf War Syndrome: Legacy of a Perfect War” di Alison Johnson, che finì addirittura sui banchi del Congresso degli Stati Uniti nelle parole “dolore inammissibile e agonia” del Capo della Commissione sui Veterani, il deputato Christopher Shays. Riflettori sparati sempre sull’inganno atroce nella carriera di combattente.
Io so, perché l’ho visto coi miei occhi, che ogni anno a Washington si organizza un’immensa manifestazione nazionale di veterani delle guerre USA per protestare contro lo scandaloso abbandono di centinaia di migliaia di loro da parte del Vero Potere. Mi trovai nel 2004 a vagare fra maree di uomini e donne ridotti a tronchi senza arti, o in carrozzella coi cateteri, o divenuti barboni, e ricordo in particolare un reduce dal Vietnam che ogni anno passava l’intera manifestazione chiuso in una gabbia di bambù seminudo e senza mangiare, proprio davanti alla Casa Bianca. Media e telecamere ovunque. Nessun oscuramento mediatico. E chi gira per New York senza il cervellino spappolato dal mito della Big Apple, non può non accorgersi che quasi la metà dei senza dimora sono reduci di guerra, alla fame, con tanto di cartelli. Tutto questo grida da anni alla nazione: non fate i soldati! Vi fottono!
In America i dati sulla devastazione che aspetta i marines al ritorno dalle guerre del Vero Potere sono agghiaccianti: il Dipartimento dei Veterani USA stima che i reduci ridotti a bivaccare sotto i ponti siano oggi 300.000; la National Coalition for Homeless Veterans ci dice che ci sono un milione e mezzo di veterani che sono a rischio di povertà assoluta, nessuna cura medica, condizioni di vita “aberranti”. E quando si parla delle guerre recenti in Afghanistan e Iraq le cose non cambiano: uno studio dell’università di Yale del 2012 ci dice che la gran parte dei reduci sono affetti da Sindrome Post Traumatica e sono di fatto disabili, ma non ricevono una lira dal governo. I pochissimi che sono riusciti a strappare una pensione prendono una miseria di 640 dollari al mese, le veterane addirittura meno, 550 (sic). La disoccupazione fra i giovani reduci da Iraq e Afghanistan che ancora sembrano sani, in età fra i 18 e i 24, è schizzata al 30%. Tutte cose dette e stradette in Tv e sui giornali, oltre ai libri e film di cui sopra. Il messaggio fu ed è ripetuto alla noia con massima esposizione mediatica, e ne faccio una rima: se andate a combattere per i potenti, la ricompensa saranno calci nei denti (se va bene).
In Gran Bretagna le cose non vanno meglio per i giovani che hanno combattuto per il loro Paese. Pensate che solo dopo le guerre ‘imperiali’ degli anni ’90, e nella sola Londra, furono contati dai tre ai quattro mila reduci ridotti a dormire sotto i ponti. La BBC, nel devastante reportage di quest’anno “Why hasn't the mystery of Gulf War Syndrome been solved?” ci racconta che ancora oggi, dopo 25 anni dalla Guerra del Golfo, la Royal British Legion supplica il governo di Londra di darsi da fare per curare i veterani ammalati. Il Ministero della Difesa inglese ha persino tolto i fondi all’unica ricerca seria di cure presso la Cardiff University, denuncia la BBC, cioè un network che ha un’audience mondiale immensa. Ancora: massima esposizione al pubblico di “se andate a combattere per i potenti, la ricompensa saranno calci nei denti (se va bene)”.
E nei denti i calci li ha presi il sergente medico militare dell’esercito britannico Sean Rusling, reduce dal Golfo. Preda di febbri e sudori, paralizzato per mesi a una gamba, devastato nella mente, incapace di minimi sforzi fisici, pieno di osteoporosi a 37 anni!, e anche narcolettico. Ovviamente oggi è un rudere umano disoccupato. Bel premio per aver combattuto per il Vero Potere. E dice Rusling alla BBC: “Siamo insultati dal Ministero della Difesa… è ovvio, negano tutto e ci abbandonano per paura delle cause legali che gli pioverebbero da decine di migliaia di noi veterani… perché ci hanno avvelenati, e ora ci hanno abbandonati”.
Fra l’altro, andrebbe poi aggiunto che all’apocalittico quadro di cui sopra, si deve assommare la bruciante constatazione piovuta solo dopo su questi reduci che il 100% delle guerre nelle quali furono spediti a combattere, crepare o a rimanere devastati dal 1991 (Golfo, Somalia, Bosnia, Iraq, Afghanistan) erano inganni criminali costruiti dai governi USA-GB (con gentile collaborazione dell’Italietta) sulla base di falsi clamorosi enunciati nei Parlamenti, su intelligence truccata da vomitare, e su manipolazioni mediatiche fin comiche, come oggi sappiamo dalla infinita documentazione segreta venuta alla luce e di dominio pubblico. Add insult to injury, si dice in inglese.
Ok, lettori, abbastanza? Orrore e abbandono, sfacelo, agonia e insulto attendono DI REGOLA al rientro i giovani americani e inglesi che di mestiere fanno la guerra, ormai da 50 anni (ma in verità da sempre). Sottolineo il “di regola” perché come gridato dal povero Rusling, mai nella Storia esisterà un governo che poi si prenderà cura completa e dignitosa della ‘carne da macello proletaria’ che gli ritorna macellata dalle guerre imperiali; e questo perché quei governi sarebbero poi sommersi e affogati di risarcimenti tali da aprire voragini nei conti di Stato. No, la guerra la pagano i poveri, mai i ricchi, questa è e sarà sempre la legge. Quindi di nuovo: orrore e abbandono, sfacelo, agonia e insulto attendono DI REGOLA al rientro i giovani americani e inglesi che di mestiere fanno la guerra, ormai da 50 anni e sempre così sarà…
… E perciò i giovani americani e inglesi LO SAPEVANO, LO SANNO A COSA POI VANNO INCONTRO quando (e se) rientrano feriti, traumatizzati, o devastati. E anche se non lo sanno loro a 18 anni, lo sanno benissimo i loro genitori. Il mondo dei media, dei film e della narrativa anti-bellica, cioè l’attivismo in tutte queste forme, glielo hanno raccontato incessantemente e con MASSIMA ESPOSIZIONE almeno dal terrificante “E Johnny prese il fucile” del 1971, quindi per 45 anni consecutivi. Per non parlare dello stesso messaggio sparato nelle super Hit del Pop e del Rock, infatti non si contano le Hit mondiali contro le guerre, da Lennon, Dylan, Pink Floyd, ai Guns and Roses, ai Linkin Park, Metallica, Springsteen, ecc. Qualcuno può dire che il messaggio è stato oscurato ai giovani?
Ok. Risultato? Eh attivisti? Eh registi? Eh Star del cinema? Eh scrittori? Eh giornalisti? Eh Associazioni? Eh Rock Star? Perché dopo tutto quanto sopra…
... NON DOVREBBE PIU’ ESISTERE UN CANE DISPOSTO AD ARRUOLARSI PER POI RISCHIARE DI MORIRE, SAPENDO DI TORNARE RIDOTTO A UN RUDERE CHE SARA’ ABBANDONATO DA TUTTI SOTTO UNA PILA DI MERDA.
“Hey Billy, diventa un Marine!”…
“Sticazzi Sergente, ci manda il culo di suo figlio in guerra, e poi glielo spazzi quando torna schizzato, mutilato e fottuto per la vita! Fuck off!”
Dopo tutto quanto sopra, l’attivismo avrebbe dovuto ottenere questo oggi, esattamente quel colloquio in centinaia di migliaia di ragazzi cui viene chiesto di arruolarsi. Dovremmo avere funzionari della Difesa che vagano disperati per i corridoi dei Ministeri senza un cane di giovane che gli va a combattere le guerre. Allora…
L’attivismo l’ha ottenuto? Ecco i risultati, per gentile concessione del Ministero della Difesa USA e GB, a me forniti personalmente. Prendo in considerazione la realtà del 2013-2016, proprio perché è solo alla fine del percorso di 45 anni di quell’attivismo che si trova la verità:
In America il Dipartimento della Difesa ci racconta che per gli anni dal 2013 al 2015 le cose sono andate in questo modo:
2013: Necessità di reclutare soldati soddisfatta al 100% - nella Marina soddisfatta al 100% - nei Marines soddisfatta al 100% - nell’Aeronautica soddisfatta al 100%.
2014: Necessità di reclutare soldati soddisfatta al 100,2% - nella Marina soddisfatta al 100% - nei Marines soddisfatta al 100,1% - nell’Aeronautica soddisfatta al 100%.
2015: Necessità di reclutare soldati soddisfatta al 100,3% - nella Marina soddisfatta al 100% - nei Marines soddisfatta al 100,1% - nell’Aeronautica soddisfatta al 100%.
Mi specifica il capo ufficio stampa del Dipartimento della Difesa americano, Maj. Ben Sakrisson, che “Fra l’altro noi rifiutiamo un sostanzioso numero di richieste”, indicando perciò che a 25 anni dalla Guerra del Golfo e a 40 anni dalla guerra del Vietnam, con i 45 anni di furioso attivismo anti-bellico di cui ho dato conto in questo articolo, il colosso militare USA non ha affatto penuria di arruolati, anzi, arriva oggi a soddisfare il 100% e oltre dei suoi bisogni di ‘carne da macello’ per le sue guerre imperiali, e ne scarta pure. La cosa si commenta da sola.
In Gran Bretagna il Ministero della Difesa mi fornisce le
statistiche dell’anno gennaio 2015-gennaio 2016, e anche qui la storia si
commenta da sola a 34 anni dalla guerra delle Falkland, che già allora scatenò
la moderna polemica mediatica inglese sull’idiozia di combattere le guerre
imperiali:
2015-2016: l’esercito di Sua Maestà britannica ha visto un
aumento degli arruolamenti del 12,5%, cioè 1.550 giovani inglesi di ambo i
sessi si sono messi a disposizione delle guerre in più rispetto al numero
dell’anno precedente.
Se si considerano i britannici aspiranti guerrieri, quelli
cioè della FR20 Riserve Volontarie, l’aumento della speranza di andare a
combattere è stato del 38,6%.
Il Ministero della Difesa a Londra ci informa che il suo
target totale del 100% di soddisfazione delle sue necessità di soldati, ha
subito una microscopica frustrazione del 4% quest’anno. Non certo l’abbandono
di massa in cui l’attivismo pacifista di mezzo secolo sperava nell’era della
comunicazione globale.
E, ciliegina sulla torta, sempre l’ultimo anno ha visto
molti meno inglesi abbandonare la carriera militare: 8,4% meno abbandoni rispetto
all’anno prima.
Anche Londra non sta affatto penando per trovare giovani
disposti a combattere le guerre, a rischiare la vita, ad affrontare un rientro
disastroso e un futuro di abietto abbandono. Nonostante 45 anni di
mega-attivismo per dissuaderli.
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Sconcertante,
da piangere. Il fatto contro cui sbattiamo il muso è che ‘Johnny’ oggi vuole
prendere il fucile come prima e più di prima.
Ora, immagino
lo scatenarsi dei “sì… ma… però”. No
cari perché qui una cosa va sancita con certezza:
IL FALLIMENTO
DI UN’INTERA EPOCA DI GRANDE ATTIVISMO PER
DISSUADERE GLI ATTORI DELLE GUERRE A PREMERE I GRILLETTI – E QUELLA DISSUASIONE ERA IL FULCRO CENTRALE DI OGNI SFORZO
PACIFISTA – IL FALLIMENTO E’ STATO CATASTROFICO, UMILIANTE, INDISCUTIBILE.
Inutile pararsi
dietro a scuse. Fra l’altro si noti che dall’abolizione della leva obbligatoria
ormai decenni fa (in USA nel 1972), il compito dell’attivismo nel dissuadere i
giovani dall’arruolarsi per premere il grilletto nelle guerre imperiali si era
facilitato del 300%, per ovvi motivi. Ma invece…
Allora, popolo.
Allora, intellettuali. Allora attivisti. Allora Star, Rockstar, autori di
successo, giornalisti di denuncia, allora Hollywood e ONG, fate un REALITY
CHECK, come direbbero gli studiosi di psicologia dinamica. Affrontiamo la
realtà, e questo scorcio insolito che vi ho offerto di uno dei più tragici
fallimenti dell’attivismo, fra i tantissimi altri suoi fallimenti che abbiamo
davanti, ci riporta al punto di partenza:
NON SI POSSONO
AFFRONTARE I DRAMMI DI UN PIANETA OGGI TRASFORMATO COME MAI PRIMA NELLA STORIA,
COI METODI DI LOTTA CHE USAVAMO SU, LETTERALMENTE, UN ALTRO PIANETA CHE OGGI
NON C’E’ PIU’. In metafora, se oggi pretendiamo di fare Bologna Milano in 1 ora
e 1 minuto coi treni degli anni ’70, siamo scemi. I treni però li abbiamo
ripensati, cambiati in modi sorprendenti, ma l’attivismo no. Siamo scemi.
E allora di
cosa ci lamentiamo se “oggi il mondo è al suo massimo di orrore egemone del Vero Potere, se ardono
centinaia di conflitti armati atroci, se la tutela dell’ambiente sta rotolando
indietro come una palla di gamberi, se la corruzione/mafia e affini è cento volte
quella di Tangentopoli, se la Finanza ha distrutto ogni democrazia del pianeta…”? Continuate pure a usare i locomotori degli anni ’70… Bologna Milano in 1
ora non la farete mai, mai e poi mai.
Quindi Paolo Barnard rilancia, in piena
LDLD, la proposta:
“L’attivismo
ha fallito. Usa sempre gli stessi metodi, già defunti, e si rifiuta di
cambiare. Dobbiamo creare un gruppo di lavoro di storici, antropologi,
filosofi, attivisti che analizzino I FATTORI DEL CAMBIAMENTO nei diversi
periodi storici, e ci sappiano dire come oggi essi vanno RIPENSATI. Poiché mi
sembra evidente che ciò che funzionò nell’800 o nel dopoguerra o negli anni
’70, non possa essere usato oggi immutato, perché negli ultimi 35 anni hanno
letteralmente cambiato il Pianeta nel DNA. Oggi il Pianeta ci parla con una
lingua totalmente diversa. Allora, quali sono oggi i I FATTORI DEL CAMBIAMENTO
per un attivismo che abbia effetto?”.
Hey storici, antropologi, filosofi, attivisti… toc toc… c’è qualcuno là fuori che ancora pensa?
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