16. LE FAVOLE DI
BARNARD PER I BAMBINI DEI SUOI LETTORI.
Bambini, fatevi seri e attenti, questa storia non è come
tutte le altre. Ma è molto importante, perché è accaduta davvero.
C’era in una città di un Paese potente un’immensa fabbrica
di armi. Credetemi bambini, era così immensa che là dentro ci avrebbe potuto
abitare l’intero popolo di quel Paese. Infatti gli operai, gli ingegneri e i
padroni di quella fabbrica potevano solo spostarsi in auto da un punto
all’altro. A piedi ci avrebbero impiegato una giornata intera, tanto erano le
distanze. Ogni costruzione era dedicata a un compito: fondere i metalli per le
armi; fare gli stampi per dare forma alle armi; costruire i computer che
facevano funzionare quelle armi; case finte, campi deserti, piste di decollo, dove
collaudare le nuove armi; e infine un colossale capannone grande come una città
dove tutte le armi pronte e nuove di zecca venivano depositate per poi essere
vendute agli uomini che fanno le guerre. Ed è in questo colossale capannone che
si svolge la nostra storia.
Era una notte d’inverno, fredda ma col cielo stellato, tutto
era silente, e la luce della luna piena faceva passare raggi color argento dalle
grandi finestre di quel capannone, che si riflettevano a rimbalzi taglienti e
con forme a taglio contro tutto quell’acciaio brillante. Di colpo, sarà forse
stata quella luce, un cannone parlò:
“Guardatemi, mi ergo
alto e potente. I miei proiettili sono lunghi come un uomo intero e li sparerò
alla velocità del lampo mentre il computer che mi abita in pancia farà 100
milioni di calcoli affinché il proiettile non sbagli il bersaglio di neppure 10
millimetri! Dove colpirò, tutto, ma dico tutto, andrà in frantumi sparsi per
centinaia di metri” E si sentiva un Dio.
E allora la mitragliatrice montata su una Jeep con ruote
grandi come le macine di un mulino, indispettita, rispose: “Bè, ma tu sei un mastodontico affare che se
ne sta fermo come un dinosauro, mentre guarda me! Io mi sposterò come una
pantera fra strade e case, mentre dall’acciaio fulgido della mia canna sparerò 500
proiettili micidiali al minuto... 500 al minuto! Io sarò una tempesta di fuoco
che colpirà ovunque, chiunque, davanti di dietro, dentro gli anfratti dentro i
nascondigli, e non vi sarà scampo per nulla e nessuno sotto l’inferno di ferro
che sparerò! Io incuterò terrore! Io!!!!”
Sulla loro destra stava una distesa lunga 200 metri di razzi,
color bianco e con strisce argentate. Montavano, questi razzi, una strana
scatola nel mezzo ed erano pieni di pulsanti proprio sotto la scatola. Uno di
loro, con una risata sarcastica, disse “Ma
di che blaterate voi armi del medioevo… hahahhah! Il cannoooooooone ciccioooooone!
Hahahaha! La mitraglia che sputacchia i suoi semini di cocomero! Guardate noi,
razza di affari primitivi che siete. Noi siamo razzi che saranno montati sulle
ali di Jet da film come Guerre Stellari, voleremo nei cieli a velocità doppie
di quella del suono, poi saremo sparati e prima di colpire il bersaglio noi
verremo istruiti dal pilota che ci parlerà attraverso i nostri circuiti
computerizzati spaziali. Noi non siamo come voi grezzi e antiquati proiettili,
noi potremo cambiare direzione, seguire luci, seguire il calore, e abbiamo
occhi che vedranno e filmeranno tutto quello che succede! Zitti quindi, saremo
noi i migliori qui! Siamo il futuro, noi”.
Ma ecco che tutto il capannone tremò e immediatamente dopo una
voce che suonava come quella del diavolo in fondo all’inferno parlò. Infatti,
laggiù di fronte alle porte d’entrata stava il cacciabombardiere, bambini, e
lui è davvero un mostro grande come una montagna le cui ali sembrano una buia
volta celeste, o meglio, sembrano il mantello del Diavolo in cielo. E disse: “Voi insignificanti giocattoli osate
vantarvi? Chi è l’Imperatore qui? Come osate voi miserabili giullari di corte?
Io sono il… CACCIA-BOMBARDIERE!!!!!, che quando solcherà i cieli manderà il suo
rombo a terrorizzare milioni di persone nei quattro angoli del creato. Io
oscurerò il sole con le mie ali nere da cui penderanno immense bombe confronto
a cui voi siete stupidi fiammiferi, razza di sciocchi buffoni! Avrò bombe atomiche
nella mia pancia, e potrò frantumare il Pianeta! Nulla e nessuna arma al mondo
mi potrà fermare. Quando spiccherò il volo io, l’intera Terra s’inchinerà e
pregherà di non essere nella mia mira. Io! Ioooo sarò il Supremo di tutte le
armi! Tacete miserabili”.
Questo accadeva quella notte nel più colossale capannone di
armi nuove di zecca del mondo. Immaginiamo bambini se uno di noi si fosse
trovato là dentro da solo in piedi, piccoli piccoli come siamo, ad ascoltare
quelle parole da paura, da far ghiacciare il sangue. Ma poi…
In un lato del capannone, un lato dimenticato, gli operai di
quella fabbrica d’armi avevano creato una discarica di armi già usate tempo
prima e ora inutili. C’erano cannoni, mitragliatrici, razzi e proiettili, e
anche, pensate, un cacciabombardiere rottame che aveva perso un’ala. Quella
notte essi ascoltarono tutto, e quando le potenti nuove armi ebbero finito di
sbraitare la loro arroganza, e tutto tornò nel silenzio assoluto, ecco cosa
accadde.
Dalla montagna delle armi rottamate si udì un flebile
rumore, a sbalzi, ma debole bimbi. A tendere bene l’orecchio si capì che si
trattava di un pianto sommesso. Era uno di quei razzi bianchi che piangeva. Un
proiettile arrugginito gli chiese cosa gli stava succedendo, e il razzo
sussurrò: “Li hai sentiti quegli
sciagurati? Ma li hai sentiti?” disse. “Altro
che precisione al millimetro… Io ricordo quando fui sparato da un jet per
colpire dei soldati, ma i miei occhi a telecamera videro che invece stavo
precipitando su una casa di una famiglia. L’ultima cosa che vidi…” …. Il
razzo ora aveva la gola strozzata… “l’ultima
cosa che vidi furono gli occhi terrorizzati di una povera donna che aveva i
suoi bambini a tavola. Furono pochi istanti, io tentai di gridare ai miei
circuiti di deviare… ma…” e il razzo eruppe in lacrime a fiumi, non poteva
fermarsi, non poteva più neppure parlare.
Sulla sinistra, sempre in quella montagna di armi usate e
gettate, una delle mitragliatrici che si montano su quelle Jeep con le ruote
grandi come macine di un mulino, parlò: “So,
lo so cosa provi razzo. Mi portarono in un villaggio di povera gente in un
Paese straniero dove le persone non si vestono come gli uomini da noi. Correva
la Jeep coi soldati che guidavano all’impazzata e gridavano come bestie, e mi
facevano sparare, sparare, eppure io vedevo a chi sparavano… mucche, galline,
uomini, donne, ambulanze con dentro gli ammalati, poveri ciuchi legati fuori
dalle case, e io….. bè, io tentavo di stringere il mio stomaco per impedire ai
proiettili di uscire, ma non ce la potevo fare. Razzo, io sono con te, quelle
armi nuove e arroganti non sanno di cosa parlano, sciagurate.”
Fra pezzi di alluminio contorto, cavi elettrici
aggrovigliati, e pezzi di circuiti da computer frantumati come mosaici pestati
da un martello, si trovava un proiettile di cannone grande appunto come un
uomo, ma fracassato in dieci parti. La sua voce si levò dapprima talmente
flebile che manco si sentiva, poi un poco più forte. Tutte le armi rottamate si
girarono dalla sua parte, perché qualcosa gli disse che andava ascoltato. E il
proiettile parlò: “Guardatemi bene, sono
frantumato e pieno di buchi, ma sapete dove finì il metallo che mi manca? Quando
colpii il mio bersaglio, parti del mio metallo si frantumarono in migliaia di
schegge roventi che volarono impazzite in tutte le direzioni. In particolare in
una direzione…” e il proiettile si fermò, si ammutolì. Tutti gli altri non
sapevano che dire, erano rapiti da quell’improvvisa pausa. Il proiettile dovette
prendere molti respiri profondi, e solo dopo questi tornò a parlare: “La direzione dove le mie schegge roventi si
scaraventarono fu verso una scolaresca che quel giorno correva per trovare
protezione dalla guerra. Vidi una bambina crollare in terra… E lo capii bene.
Aveva mille e mille puntini rossi come il sangue nelle sue gambine, e non vi
dico il resto. Il mio metallo era tutto là dentro, in quelle gambine. E oggi,
amici armi rottamate, io non dormo più neppure una notte perché penso sempre se
quella bambina è viva, e se mai camminerà più”.
Il cacciabombardiere senza un’ala dalla sua altezza sbilenca
chiese di poter dire due parole, solo due. “Sapeste”,
disse, “quante meravigliose montagne
alberate, quanti stupendi campi di riso e di grano, quante città coi tetti
rossi e i giardini io ho visto ridotti a spianate di cenere nera dalle mie bombe, terre perforate da immensi
buchi come bocche di vulcano, con scheletri di alberi neri come il carbone i
cui rami sembravano levarsi al cielo a chiedere ‘Ma perché?’. Voi non immaginate
cosa significa oscurare il sole con le ali piene di quella morte. E sopra di me
ho sempre sperato, in quei giorni orrendi, che un angelo scendesse per fermarci”.
Calò il silenzio.
Dall’altra parte dell’immenso capannone tutto ciò era stato
sentito dalle armi nuove e arroganti, pronte a essere vendute. Esse si
guardarono, tutte si guardarono, in silenzio per un lungo tempo, e tutte insieme pregarono Dio che
le uccidesse quella notte stessa, prima che gli uomini potessero costringerle a
vivere e a vedere cosa veramente fa un’arma nel mondo delle persone, dei
bambini, degli animali, della natura.
(NOTA: tutte le favole di Barnard sono di sua invenzione esclusiva e coperte da Copyright)
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