[Paolo Barnard]

Il paradigma di Striscia, Costanzo, Le Iene, Mandela. La via della rovina e i vostri dubbi.

 

C’è un dubbio fondamentale che perseguita le menti di tanti lettori intelligenti e coscienziosi, non scherzo, non c’è ironia. Essi sanno bene che, a dir la verità, diversi fra i nomi che costellano la loro progressione civica e intellettuale sono non proprio immacolati, eppure servono. Travaglio pecca di arroganza, è un filosionista quindi paladino di una giustizia part time, si dimostra omertoso coi suoi compagni di merende, non parla mai del vero Potere, il suo giornale meno che meno, ci annebbia la vista ipertrofizzando Berlusconi. Ma è innegabile che senza di lui migliaia di cittadini, soprattutto i giovanissimi, non avrebbero mai avuto le conoscenze per combattere l’odierna Casta, poiché Travaglio è a tutti gli effetti un cronista che morde duro alle calcagna del clan di Arcore. I lettori sanno che Milena Gabanelli… oddio, avete letto Dagospia l’altro giorno? Che brutto l’inciucio della signora di Report con Prodi, la Sogin e Massimo Romano; se è tutto vero c’è da preoccuparsi tanto. E poi che fastidio la vicenda con Barnard e Censura Legale, una bruttissima macchia per lei.  E le puntate pro Tav e quella sul debito pubblico? Ohi, ohi… Così come la culla craxiana da cui la paladina proviene, non proprio un pedigree da paladina, appunto. Ma se togli Report cosa rimane in Italia? Senza le puntate di Milena, è innegabile, c’è il buio, la morte civile in Tv. I lettori sanno altresì che Antonio Di Pietro ha firmato lo scandaloso Trattato di Lisbona, che maneggia i denari di partito con una certa disinvoltura, che quel suo figlio lo ha a dir poco allevato male e protetto troppo, che sguazza nel fango inquietante della Casaleggio Associati, con tutte quelle connessioni in Telecoms e banche d’investimento (leggi la Mafia maggiore), e che l’ex magistrato puzzicchia un poco (tanto) di giustizialista di destra.  Eppure Tonino fa battaglie che non si possono non condividere, e di nuovo va detto che se togli lui, alle urne che si fa? Grillo, mamma mia, neppure inizio, già sapete, i miliardi, il merchandising alla Vanna Marchi, le sparate nel mucchio, la censura sul suo blog, la “gestione fascistoide delle sue liste”, la Cultura della Visibilità replicata… Ma anche Beppe rappresenta in Italia una sponda fortissima che ha fermato il naufragio dei Movimenti dopo il 1999 e dopo il flop di Nanni Moretti, l’unica così potente a dir la verità. Facebook, in ultimo, si sa che è uno strumento di obnubilazione di massa, che ha strappato ai cittadini la più immensa banca di dati personali nella Storia (se la ridono alla CIA, Microsoft, Telecoms, e ITCompanies, o i tipi alla Bearing Point, Murdoch, Pio Pompa ecc.) e che sta esasperando il rovinoso attivismo di tastiera. Tutto vero, però è Facebook e non altri che permette oggi a tantissimi membri della famosa ‘massa’, e di nuovo ai ragazzini/ragazzine, di essere raggiunti dalle parole dei sopraccitati, dei dissidenti, dalle notizie censurate, e anche dalle tue di parole caro Barnard, cosa che non sarebbe mai accaduta senza. Allora, sono da tenere o da buttare tutti costoro?

Qui sta il dilemma di tanti. Esso alberga in quell’angolo recondito dell’anima dove ha luogo un fastidioso tiro alla fune fra la coscienza (“non sono puliti, non fidarti”) e il realismo (“sarà anche, ma sono utili però”). La coscienza reclama l’integrità morale sopra ogni cosa, il realismo la considera, al contrario, una pericolosa devianza fanatica che finisce per cancellare dalla società anche quel poco di buono che c’è. E Barnard ne incarna il peggio, alcuni dicono, fosse per lui avremmo un mondo senza Marco, Milena, Tonino, Beppe e neppure Facebook. Bella roba.

Voglio rispondere a quel dilemma, una volta per tutte, è terribilmente importante. E vi dico subito che la vittoria nel tiro alla fune delle forze del realismo è una catastrofe, le cui propaggini precedono nel tempo il fenomeno dei ‘paladini’ dell’Antisistema e le cui conseguenze pagherete terribilmente care. Per capire cosa sto dicendo considerate Striscia la Notizia, il Costanzo Show, le Iene. Questi fenomeni di comunicazione di massa ricalcano perfettamente gli ingredienti dei sopraccitati fenomeni di comunicazione alternativa. Vi si trova infatti un abile mix di negativo e positivo, talmente abile che il medesimo dilemma assale altri cittadini: sì, sono buffonate, è tutto per far soldi, Costanzo è un padrino piduista, tritano tette culi e gossip caciarone… ma... Ma a dire il vero Striscia e le Iene denunciano una valanga di porcherie a milioni di cittadini (a delle audience mille volte la nostra) che altrimenti non le saprebbero mai, e i politici rispondono in fretta; a dire il vero hanno il coraggio (e i soldi) di sputtanare un sacco di malfattori su segnalazioni di persone comuni, cosa che il Corriere o il TG1 e neppure il Fatto farebbero mai, ed è questo lo stare dalla parte della ‘gente’; a dire il vero l’Italia è costellata oggi da migliaia di famiglie che devono la loro salvezza o perlomeno un aiuto vitale a Greggio, Lucci, o a Costanzo. E non fu quest’ultimo che portò in televisione per primo la lotta contro la discriminazione dei sieropositivi? Non ha proprio lui contribuito all’accettabilità dei disabili, degli emarginati, degli ammalati portandola per decenni nei salotti dell’Italietta discriminatoria e razzista? Ed ecco che milioni di italiani degni risolvono quel loro tiro alla fune col medesimo realismo che nell’Alternativa assolve Travaglio, Grillo e Facebook: ok, hanno mille difetti, ma alla fine fanno una montagna di cose giuste, punto.

Lo so che siete già schizzati in avanti con la risposta, ma vi blocco. Attenti. Vi è facile scartare queste ultime conclusioni seppellendole con una montagna di critiche all’abiezione del sistema massmediatico Mediaset, dopotutto lo amministra “il diavolo”, dico bene Tonino? Ma chiedo: se riuscite per un attimo a rimanere osservatori esterni, distaccati, potete forse evitare di vedere che il paradigma dell’assoluzione di Striscia, Iene e Costanzo è identico a quello che invece così generosamente applicate a Grillo, Gabanelli e Co.? Non è forse vero che in entrambi i casi entra in funzione una bilancia sui cui piatti è stato messo il male e il bene, e che si è fatta pendere dalla parte del bene nel nome di un interesse collettivo superiore? Lo fate voi coi paladini e con Facebook, ma lo fanno milioni di altri esseri umani degni con Ricci, Blasi e Costanzo. Forse che il vostro interesse è di natura superiore al loro?

Eppure la cosa è, e vi è, ovvia: voi stessi argomentereste subito, in un dibattito con i fans dei paladini di Striscia e Co., che il danno complessivo e a lungo termine che il Sistema massmediatico berlusconiano fa alla società è immensamente superiore ai vantaggi a breve termine delle loro battaglie civiche e di denuncia. Gli direste che, parafrasando il Vangelo, “non puoi servire due padroni”, o stai dalla parte della morale civica sempre oppure non vali nulla; non puoi da una parte rimestare Vippismo e culi e dall’altra predicare virtù; il mix che ne esce è mefitico, la gente ne viene inquinata, anzi, peggio, in essa si innesta una dissociazione percettiva fatale, quella che avvalla il fatto che se con una mano fai il bene con l’altra puoi anche lordare il tuo mondo, te lo si perdona.

Bene, ogni singola parola scritta sopra io ve la rigiro sui vostri paladini e su Facebook. Chi come loro è morale part time; chi è mosso da compassione da questa parte ma spietato da quell’altra; chi sfodera la spada con quei potenti ma fa lo stuoino con questi altri; chi si batte per i diritti di qua ma affossa quelli di là; chi grida alla censura contro i suoi compagni ma si zittisce su quella contro i suoi avversari; chi grida i fatti di questo potere ma tace su quelli dell’altro Potere; o chi regala libertà di sapere a milioni mentre incatena i medesimi milioni dietro le spalle, produce nel lungo termine un danno alla fibra etica della collettività che è immensamente superiore a qualsiasi beneficio nel breve termine. Perché, sia chiaro e scolpito nella memoria: dal principio morale esteso a 360 gradi non ci si dissocia mai se si vuole veramente cambiare la Storia, a costo di soccombere per anni, secoli. Perché solo una cosa, e una cosa sola, può alterare la corruttibilità della nostra epoca: persone che sappiano aderire a quel principio morale a qualsiasi costo, sempre, e non part time. Accontentarsi di paladini dalla rettitudine a singhiozzo è il destino che ha in serbo per noi il Potere; se il popolo degli attivisti fa tanto di adagiarsi sul vecchio detto che "piuttosto che niente è meglio piuttosto", ovvero "piuttosto che Berlusconi e Vespa sono meglio Travaglio che ride in faccia ai morti della Palestina, Grillo che confabula con Casaleggio, Gabanelli che censura i suoi spettatori critici" il gioco è fatto, siamo fregati, perché il fondo di quel "piuttosto" non c'è, è mutabile, è comprabile, e certamente un sistema bastato su tali mollezze non ha la fibra per confrontarsi in alcun modo col Potere.

Non so pensare a un esempio migliore per illustrare ciò della parabola di Nelson Rolihlahla Mandela, che è qui terribilmente illuminante. Quell’uomo fu una luce per l’Africa e per l’umanità intera finché mantenne una fanatica adesione al principio morale a 360 gradi. Divenne poi un deplorevole zimbello nell’istante in cui si perdonò, e gli fu perdonato, di essere una luce part time, perché, si disse, “va bè, intanto è utile però”. Nel 1994, quando ero in Sudafrica come corrispondente, parlai a lungo con Kader Asmal, membro del Comitato Esecutivo Nazionale dell’ANC di Mandela, e rimasi affascinato dal racconto che egli mi fece dei tanti e crudeli tentativi del regime di spegnere la luce di Nelson. Nei suoi 27 anni passati a spaccare pietre fra Robben Island e altre carceri, con le cornee bruciate dalle polveri dei sali, con le angoscianti notizie sulla sorte di sua moglie e sulle torture e i massacri dei suoi compagni, Mandela fu costantemente sottoposto a offerte di libertà su condizioni: firma questo, rinuncia a quello, impegnati a non dire più quest’altro, compromettiti anche solo un poco, media sulla tua fanatica adesione ai principi… e avrai la libertà, e salverai i tuoi compagni dalle sevizie, e tornerai nelle braccia di quella povera donna là fuori. Immaginate, se potete, cosa significhi dover scegliere in quelle condizioni, consapevole che la probabile alternativa era la morte in cella e il buio per milioni di neri. Ma Nelson Rolihlahla Mandela disse sempre no. Al principio morale non si deroga mai, neppure in una microscopica percentuale. Non si possono “servire due padroni”. Nelson sapeva allora che la convivenza della rettitudine con l’occasionale cedimento al vizio, e cioè quello che gli veniva proposto, avrebbe certamente portato grandi benefici nel breve termine a tutta la sua gente, ma danni indicibilmente superiori nel lungo termine. Poi fu liberato, e cadde nelle mani del Fondo Monetario Internazionale e dei ‘pedagogisti’ politici del Washington Consensus: cambiò, tanto, forse era, a quel punto, veramente sfibrato. Di fatto fu il tracollo, la storia politica ed economica del Sudafrica del Presidente Mandela è stata deplorevole, vergognosa, ma non è questo il luogo in cui trattarla. La rovina di quell’immenso eroe civico e di tutto il suo popolo fu proprio l’accettazione da parte di se stesso e da parte dei suoi sostenitori, negli anni della sua ascesa al potere, del paradigma che ho spiegato sopra, precisamente quello: “va bè, non è immacolato, ma senza di lui sarebbe peggio”. La Storia non si fa coi se, ma sono profondamente convinto che se la sua gente gli avesse gridato in massa di rimanere cocciutamente fedele ai principi morali a 360 gradi della sua prigionia,  e se anche nel nome di ciò Nelson Mandela non fosse mai stato presidente, il futuro del Sudafrica non sarebbe l’incubo odierno di 10 milioni di persone senza acqua né elettricità, di violenza inaudita nero su nero, e di soffocamento a tempo indeterminato nelle morse di un regime ben peggiore dell’Apartheid, quello Neoliberale.

Che la vittoria nel tiro alla fune del realismo ("hanno falle, ma dopotutto sono utili") contro la coscienza ("utile è solo il principio morale senza deroghe") abbia sempre portato (come porterà nel caso dei vostri paladini e dei social networks) a danni immani nel lungo termine, è dimostrato da molte altre istanze, che esse siano la deplorevole discesa nel compromesso dei sindacati occidentali da 30 anni a questa parte nel nome del realismo economico, o del movimento dei neri americani dopo la morte di Luther King nel nome dell'accesso all'American Dream, oppure la diluizione del principio della sacralità dei beni comuni come l’acqua, la salute e l’istruzione nel nome dell'efficienza. In ciascuno di questi casi una folta schiera di pensatori realisti aveva sostenuto, gridato, che pretendere l'integrità morale a 360 gradi da sindacati, leader di minoranze, o gestori del bene pubblico, cioè dirgli "o così oppure tanto vale senza", era "una pericolosa devianza fanatica che finisce per cancellare dalla società anche quel poco di buono che c’è". Nulla di più errato, e infatti nel lungo termine siano giunti all'epoca della svendita del diritto al lavoro, alla permanenza della schiavitù da salario, al razzismo non più per colore ma per accesso ai consumi, e all'idea aberrante che la vita stessa si possa privatizzare.

E dunque, quando io sostengo che nell’interesse della fibra etica della nostra collettività nel lungo termine sarebbe sicuramente meglio che sparisse Report se Report deve essere Milena Gabanelli, o il Fatto se il Fatto deve essere Marco Travaglio, o i blog/social networks se devono essere Grillo e Facebook, non bestemmio affatto. Per salvare l’Italia sarebbe augurabile che esistesse un nugolo di anonimi cittadini coi piedi fermamente puntati sull’idea che il principio morale deve essere mantenuto a 360 gradi, sempre, a qualsiasi costo, in ogni azione e verso chiunque, piuttosto che bearci di una folla immane guidata dai paladini part time che voi perdonate.