[Alcune considerazioni su...]

(versione stampabile)


In Italia c’è una congiura accidentale fra la politica e l’antipolitica che ha come risultato il medesimo punto d’arrivo: impedire ai cittadini di agire sui problemi più gravi che li affliggono. In questo senso, Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Bruno Vespa e soci vanno a braccetto con Beppe Grillo, Marco Travaglio, Piero Ricca e compagni. I primi hanno un preciso interesse nell’agire: il mantenimento del loro potere e quello dei loro sponsor nazionali e internazionali. I secondi hanno un interesse non dissimile: il mantenimento della loro fama e del loro ego ipertrofico, che alla fine sono potere, travestito da passione civica. I metodi però sono molto differenti. Quelli del potere politico sono noti. Più subdoli e meno citati sono quelli dell’antipolitica, ovvero dei leader dell’antipolitica. Essi hanno lavorato e lavorano ormai da anni per contagiare i cittadini attivi con una febbre, con una sorta di frenesia incontrollabile, un’ossessione esponenziale che riguarda Silvio Berlusconi e ogni suo trascorso, ogni suo collaboratore, contatto, conoscenza, ogni sua mossa, processo, lite, decisione, idea, parola, battuta, tic, smorfia, tutto. Decine di migliaia fra dibattiti, libri, blog, articoli, documentari, film, serate, comunicati, volantini, manifestazioni, discussioni, notti insonni, grida e furie rincorrono ossessionati il Cavaliere e i suoi, ogni giorno, da anni, moltiplicato per centinaia di migliaia di italiani in un chiasso che fa uscire di senno. E infatti sono tutti usciti di senno. Come se Arcore fosse il centro cosmico dei destini di questo nostro Paese.

Invece, i fondamentali problemi che ci stanno sequestrando la vita sono altri, e soprattutto esistono da ben prima del berlusconismo politico. Non sono le leggi ad personam, le ruberie delle Caste, o gli inciuci degli amministratori. Quella roba è patrimonio comune di quasi tutti i regimi politici, e anzi, in Paesi da noi considerati più civili si scoprono, a voler scavare, fenomeni molto più aberranti di qualsiasi cosa il Cavaliere o i d’alemiani abbiano mai fatto da noi.

Mi prendo qui la responsabilità di elencare alcuni dei grandi problemi reali e invalidanti che stanno affossando la nostra vita e il futuro di chi abbiamo messo al mondo, ma ai quali viene dedicata una frazione dell’energia che si impiega ad alimentare il movimento No Cav. Ne cito, fra tanti, solo cinque.

Le donne italiane. Sono passate nella Storia dall’essere considerate 3/5 umane - dunque animali da soma liberamente stuprabili dal padre o bruciabili in piazza - alla modernità del manageriato, dello spinning, dell'università o del parto indolore senza acquisire la cosa più preziosa: una soglia di dignità invalicabile. L’immagine e il corpo della donna in Italia sono abusati come in pochi altri casi sull’intero pianeta. Ma come siete arrivate a permetterlo? Come permettete che milioni di vostre figlie crescano in un Paese che vi umilia con una sistematicità giunta al grottesco? Come tollerate che quasi ogni media e sistema commerciale esistenti vi chiedano preferibilmente di essere “viste (nude) ma non udite”? Cioè delle immagini mute ma tirate a lucido perennemente preda di voluttuosi spasmi al solo contatto con lo yogurt, con i collant, con la superficie di una cucina economica. Per non parlare di ciò che vi accade negli ordinari ambienti di lavoro. E allora ditemi, a chi toccava tutelarvi? A Berlusconi e alla sensibilità delle sue tv commerciali? Ma figuriamoci! No, toccava a voi. E non lo avete fatto. E’, questa, una tara che voi permettete venga trasmessa in dote a ogni singola ragazza italiana nella relazione col mondo maschile, e che così spesso ne sfigura senza rimedio la dignità, l’autostima, lo spirito. Altro che la vicenda Carfagna. Ne compromette sia le chances di affermazione paritaria in ogni sfera della vita adulta che la collocazione come genere nella modernità civile internazionale. Ecco un vero urgente problema italiano per cui mai avete fatto un No Day, una marcia su Roma o uno sciopero generale di tutte le lavoratrici italiane.


E poi c’è il tempo. Ce lo siamo rubato, l’abbiamo reso inconcepibile, ormai insperabile e neppure più sognato. Non abbiamo più tempo, neanche per salvarci la vita. Abbiamo acconsentito a uno stile di vita che porta in sé un paradosso assurdo: l’esplosione della tecnologia che ha ridotto enormemente i carichi di lavoro in ogni campo (immaginate oggi un’archiviazione di un ministero senza computers, la trebbiatura a mano di 100 ettari), ma che non ha liberato alcun tempo per noi, anzi. La mancanza di tempo è poi uno dei fattori di maggior importanza nella strategia del Potere per mantenere se stesso, come spiego più sotto. Siamo masse di milioni di persone prive di tempo per imparare a costruire una relazione vera con i figli, non c’è il tempo per la cura della propria anima fuori dalla parrocchia di default, eppure dobbiamo tutti morire, o per la conoscenza delle più basilari regole di salute; non c’è tempo per sopravvivere a un lutto, per trovar senso se un senso viene a mancare, per accorgerci se la vita ci sta deformando e per trovare rimedio prima di fare danni tragici a noi stessi o ai nostri figli. Lavoriamo tutta la vita adulta e più nessuno osa immaginare che potremmo ottenere un nuovo diritto, un passo avanti epocale di civiltà: il diritto a non dover lavorare sempre. Il diritto ad avere tempo per noi, finché il corpo funziona, finché possiamo goderne. E poi questo: chi non ha tempo, mai, come fa, ditemi, a informarsi oltre le narrative preconfezionate (solo questo richiede tempi enormi), e poi a partecipare, a organizzare, a lottare, e a dare di se stesso/a per cambiare il proprio tempo? Come fa, in altre parole, a contrastare il Potere? Impossibile, non può farlo, e infatti la maggioranza non lo fa. Ecco perché la società civile organizzata realmente e costantemente attiva si assesta in media sullo 0,25% degli elettori italiani. E per il Potere il gioco è fatto. Ecco un vero gravissimo nostro problema. Altro che lodo Alfano.


Ce ne sono altri, come la scuola, dove non è assolutamente una questione di Moratti o Gelmini, ma di obbrobrio strutturale dell’istituzione stessa. La scuola è sempre stata, e rimane, una macchina il cui compito primario è distruggere l’autostima della persona entro l’età di 8 anni, per annientarne la futura capacità di essere cittadino attivo, temuta dal Potere. Nell’istruzione superiore essa insegna da sempre contenuti del tutto irrilevanti alle priorità essenziali ed esistenziali dei giovani. In generale, lungo tutto il suo iter essa impartisce due insegnamenti, che saranno poi alla base del congelamento delle coscienze civiche dei futuri cittadini: non avete diritti, siete ricattati. Dall’età di 6 anni fino alla maggiore età l’alunno/a impara soprattutto questo: inutile ribellarsi alle tante plateali storture o follie del regime scolastico, inutile contestare un insegnante o un metodo, non si ottiene nulla, anzi, ci si rimette. Devastante, da tempi immemorabili e ben prima di Berlusconi. Altro che depenalizzazione del falso in bilancio, qui parliamo dei nostri bambini, tutti.

 

E poi l’autostima. Nella mia vita ho avuto il pregio di vivere quasi sempre fuori dalla cerchia dei miei simili, e nel mondo maggioritario. Sono un giornalista, scrittore, ho studiato, ho avuto una carriera che mia ha portato a contatto coi miei pari, cioè con una gamma ampia fra professionisti, intellettuali, attivisti, pensatori. In genere ci collochiamo saldamente all’interno della cerchia dei nostri affini a da lì non ci spostiamo più. Finiamo per fonderci in essa e da essa osserviamo e giudichiamo il mondo (folli!). Ma in tal modo, in realtà, perdiamo contatto con esso, chiusi come siamo nella nostra torre d’avorio d’appartenenza. Io invece no. La gran parte del mio tempo l’ho speso in mondi che col giornalismo, l’intelletto e il potere che essi comportano non avevano nulla, ma proprio nulla da spartire, e nei quali mai ho incontrato un mio pari. Sono i mondi maggioritari, quelli che non comprano il giornale, che vivono con Rete 4 perennemente accesa, che Santoro sanno vagamente chi è, e Travaglio proprio non l’hanno mai sentito nominare. Sky calcio, super Enalotto, le rate della casa e della macchina, Franco Rosso, il venerdì sera fuori con le amiche e lui con gli amici, Piero Angela ogni tanto, governo ladro… ma che ci vuoi fare?, e soprattutto la loro vita ordinaria ovunque si trovino. Nati alla Fantuzza di Medicina, a Piazzola sul Brenta, a Termoli, o nelle periferie di tutta Italia, impiegate in un’acciaieria, magazzinieri da Pittarello, o taxisti, camiciaie, bariste sull’Eurostar, studenti degli istituti professionali, postini…
Milioni di persone così, soprattutto giovani, con un problema asfissiante, o meglio, una domanda asfissiante: "Chi sono io? Sono qualcuno io? Cioè, come mi colloco nella scala dei valori in cui sono nato/a? Perché quella scala, che mi martellano nella testa da quando sono venuto/a al mondo mi dice una e solo una cosa: io non sono nessuno. Nel trionfo smisurato della Cultura della Visibilità (leggi Vip) che oggi tutto pervade (anche l'antisistema), io non ho chances. Non sono visibile, non lo sono i miei genitori, non lo sarò mai. Non ho la cultura, non ho la bellezza shock, non ho la ricchezza, non ho le conoscenze che contano, non ho potere, la mia parola non conta, mai, non ho accesso ai luoghi che contano, la mia vita è il tran tran. Io sono la massa, indistinta, che non piace, che non muove nulla, che non ha accesso a nulla, che subisce sempre, che assiste di continuo alla vita degli altri, quelli Visibili, quelli che contano, i ‘Personaggi’, onnipresenti, strapresenti, vincenti. Vivo in un mondo che mi insegna ogni giorno che noi, ‘the little people’, non siamo nulla, anzi, non siamo". Fine di ogni brandello di autostima.

Non so come esprimerlo in queste righe, forse non ci sono le parole, ma la devastazione che la totale mancanza di autostima in tal modo indotta infligge a questi esseri umani spezza il cuore a vederla. La si spia con chiarezza anche solo se si è vagamente ‘qualcuno’, come sono io. Non appena costoro apprendono che tu sei ‘qualcuno’, perché ti hanno visto in tv per caso e anche una sola volta, perché gliel’hanno detto, o per qualunque altro motivo, si trasformano, si piegano su se stessi, si paralizzano spesso. E regolarmente, quando ti si rivolgono per una domanda o altro, la premessa è “io non sono nessuno, ma…”. Sempre, quel terribile “io non sono nessuno”, Dio quante volte! Poi, “mi scusi se la disturbo, lei è impegnato…” (riflettete su questa valutazione dell’impegno di chi è ‘qualcuno’, che è automaticamente valutato come più importante dell’identico impegno di chi ‘qualcuno’ non è), o addirittura ti mandano a dire che ti vorrebbero chiedere qualcosa, non osano. O ancora, se in una situazione pubblica prendi le loro difese, li vedi improvvisamente divenire baldanzosi, proprio mettersi dietro di te con un fervore da bimbi e con una afflato che commuove perché per una volta qualcuno “che conta” li ha considerati. Per una volta!

Per sfuggire al soffocamento del non essere, essi fanno di tutto. E spesso sono comportamenti fatui, deleteri, persino aberranti, solo perché quelli che contano, i Vip, fanno esattamente la stessa cosa, che però a loro garantisce impunità, anzi ancor più fama, e ancor più privilegi.

Persone che crescono così private di qualsivoglia autostima, e sono milioni, muoiono dentro fin dall’adolescenza. Soprattutto perdono per sempre ogni speranza di incontrare se stessi, di amarsi, e di sentirsi degni. E chi non si sente degno, non osa, non partecipa, non può cambiare il proprio tempo. E’ così che milioni di cittadini vengono resi inattivi, e la società civile muore. Questo fa la Cultura della Visibilità, quest’orrore incalcolabile. Altro che leggi ‘salva premier’.

 

Direttamente collegato a quanto appena detto è l’emergenza nazionale di questo Paese, che si chiama Prolasso Civico. Dimenticate i politici, le loro ruberie e la loro immoralità che, lo ripeto, sono intrinseche nella natura di ogni politico al mondo. Il dramma non sono loro, siamo noi, che non reagiamo a sufficienza. Il Prolasso Civico italiano siamo noi, tutti noi, è la disabilità civica cromosomica propria degli italiani sopra a ogni altro popolo, è tutto, è la ragione di tutto ciò per cui soffriamo come collettività, è Il Punto. Un’osservazione onesta di ciò che ciascuno di noi ha visto e udito dai propri simili in questo Paese (ma anche in e da se stesso/a) non può che spingerci a dichiarare che siamo impastati di inciviltà, di indisciplina, di un’etica del lavoro traballante, di omertà, di mafiosità, di egoismo. In diverse misure, ma tutti lo siamo. Ed è per questo che in così tanti adoriamo la pratica della fustigazione della Casta e i suoi sacerdoti, perché essa ci autoassolve in massa dalla verità: l’Italia di Berlusconi, Cuffaro, Ricucci, dei casalesi, di Andreotti, di Briatore, delle Veline, di Mediaset, di Moggi, Fassino o Sircana… siamo noi. Essi sono solo le nostre ombre sul muro. Il più grande problema di questo Paese, mi si perdoni la scurrilità, è questo: siamo circondati da feci che galleggiano? Bene, perché allora da sessant’anni noi cittadini non tiriamo lo sciacquone? Noi. La risposta è probabilmente nelle righe appena sopra.

Altro che conflitto d’interessi.

 


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