L’informazione è noi.
18/05/2008
Qui si potrebbe concludere il mio saggio sullo stato dell’informazione in Italia. Non ho altro da dire, in sostanza. Quello che posso aggiungere nelle righe che seguono sono solo riflessioni a sostegno della mia tesi, per chi avesse voglia di leggere un poco di più. E inizio di nuovo da noi italiani.
Sono le nostre ombre sul muro.
Ciò che la gente vuole. Lo scadimento dell’informazione in questo Paese riflette ciò che noi siamo, in tv particolarmente. Nulla meglio si adatta al caso Italia del sagace commento di Barnes Clive, nota firma del New York Post, che sull’odierne tendenze dei palinsesti televisivi ebbe a dire: “La televisione è la prima cultura genuinamente democratica, la prima cultura disponibile a tutti e retta da ciò che la gente vuole. La cosa più terribile è ciò che la gente vuole”. E in effetti si rimane perplessi, se non un tantino delusi, dal semplicismo delle analisi di personaggi come Beppe Grillo e altri quando tuonano contro la legge Gasparri come il costrutto infernale che strozza il nostro diritto a essere decorosamente informati. Ci si chiede: c’è la Gasparri nei salotti di milioni di italiani di varie età che ogni sera, pomeriggio o mattina scelgono col loro telecomando le peggiori fregnacce televisive? E’ la Gasparri che impedisce a noi italiani di portare La Storia Siamo Noi di Giovanni Minoli a uno share visibile ad occhio nudo invece che al microscopio? O di portare Report al 25% invece di condannarlo a un cronico annaspamento per non affogare sotto il 10? Eppure il contenitore di Milena Gabanelli è in prima serata, mica occorre perdere il sonno, basterebbe un click del telecomando. E state certi che Report o C’era una Volta oltre il 20% di share avrebbero prodotto una mischia degli inserzionisti per piazzare lì gli spot, garantendoci di conseguenza una certa qualità in più nelle nostre case tutto l’anno. Potete immaginare quanto ci metterebbero a sparire i prodotti-spazzatura come Porta a Porta o Amici, oppure le ragliate di Sgarbi o altra robaccia del genere, se agonizzassero nella pigrizia dei nostri telecomandi? Meno di un minuto, Gasparri o non Gasparri.
Illuminante fu un episodio da me vissuto in Gran Bretagna nel corso di un reportage sull’Auditel inglese che svolgevo a fine anni ’90 per conto proprio di Report. Nel corso dell’intervista al responsabile dei palinsesti della maggior Tv commerciale britannica, ITV, mi fu rivelato che la prima serata di quel network era riservata in maggioranza a programmi di alta qualità informativa. Com’era possibile? “Perché il miglior consumatore di questo Paese” spiegò il funzionario, “è l’inglese della classe media, e quel tipo di ascoltatore premia immancabilmente con il telecomando la tv di qualità. Ed è lì che ovviamente si fiondano i nostri inserzionisti”. Semplice. Sono inglesi, tutto qui. Non per nulla la sera della vigilia di Natale del 1999 la BBC 2 trasmise in prime time e per un’ora e mezza uno special dedicato al suo cameraman Mohamed Amin, l’uomo che nel 1984 ebbe lo straordinario merito di noleggiare un bimotore privato a sue spese ( e nei tempi delle sue ferie) per volare in Etiopia a filmare l’immane tragedia della devastante carestia che stava decimando quel popolo, e che divenne grazie a quelle scioccanti immagini una causa celebre con l’intervento di Bob Geldof e della sua Live Aid l’anno successivo. Ve l’immaginate voi una prima serata natalizia di quel tipo alla RAI? Che share farebbe?
Ma poi, perdonate, c’è la legge Gasparri in edicola o su Internet? Lì l’informazione c’è, ma al chiosco dei giornali Sorrisi e Canzoni TV o CHI vendono cento volte Micromega o Limes. Su Youtube le pregnanti interviste a Giancarlo Caselli catturano poche centinaia di visitatori, mentre cinque minuti di bava alla bocca con Sgarbi e Mike Bongiorno ne registrano quasi mezzo milione.
Mi direte: tutto questo è proprio il frutto del bombardamento mediatico dell’uomo di Arcore e dei suoi vent’anni e più di avvelenamento dei nostri cervelli. E io rispondo: e se a partire dal 1979 cliccavate altro sul vostro telecomando, come fanno gli inglesi, dove finivano il Biscione e relativi scherani? Era semplice, perché non lo abbiamo fatto? Lo si vuole capire che non è lui che ha fatto noi ma noi che abbiamo fatto lui? Silvio Berlusconi non ci ha rimbecilliti, ci ha semplicemente rispecchiati. E allo specchio ci siamo perduti in noi stessi.
(Ultima ora: poco prima di divulgare questo articolo mi imbatto nel sito www.corriere.it e leggo sulla colonna di destra la classifica dei servizi più letti del Corriere online: al primo posto “L’invasione dei ragni giganti”, al secondo “Basta volgarità, non sono una pin up”, al terzo “Che fine ha fatto Boy George?Vende magliette in un mercato di Londra”. Come volevasi dimostrare…)
Rimanendo con la vituperata figura dell’attuale presidente del Consiglio, è di questi giorni l’intervento di Marco Travaglio in chiusura del V2-day di Torino, dove il giornalista ha perentoriamente affermato che il Cavaliere trionfa oggi alle urne poiché proprio le devianti leggi dell’assetto radio-televisivo italiano gli hanno dato i mezzi per obnubilare la mente degli elettori in quindici anni di strapotere mediatico: “Prima non eravamo così”, ha sentenziato poi il noto cronista. Forse Travaglio è troppo giovane, e non ricorda, ma si vorrebbe chiedergli: chi aveva lavato il cervello dei nostri connazionali quando in massa premiavano alle urne ceffi ignobili della posta di Cossiga, Gava, Cirino Pomicino, De Michelis, De Lorenzo, Andreotti, De Mita, e la loro accolita di vassalli laidi o criminali? Berlusconi a quei tempi era ancora alle prese con la sua Tv condominiale via cavo a Milano 2, non c’entra. Era un’Italia migliore quella? Per caso il Corriere o la RAI erano il Times e la BBC a quei tempi? L’Idra di Tangentopoli, col suo ventre molle di corruzioni endemiche in ogni anfratto del Paese, non fu il parto di “quindici anni berlusconiani”, ahimè no, non risulta. Le stragi, la svendita dei sindacati, dei servizi pubblici, della certezza del lavoro, e ancora l’Irpinia, l’IRI e le sue voragini, le devianze del sistema giudiziario, l’omertà a vuoto pneumatico di tutto il Sistema-potere pre e post P2 e cinquant’anni di cronica evasione a tappeto, dimostrano che obnubilati nel cervello e nel senso civico lo siamo sempre stati, prima di Berlusconi, durante, e lo saremo dopo purtroppo. E anzi: la cosa più onesta che possiamo fare è di affermare una volta per tutte che la famigerata Casta e le sue grottesche comparse sono solo un’ombra sul muro di ciò che noi italiani siamo e siamo sempre stati. Nulla di più.
I nuovi
‘paladini’ della controinformazione: poco utili, dannosi.
Ma purtroppo professionisti stimati e un po’ troppo acriticamente seguiti come appunto Marco Travaglio, Gianantonio Stella, Lorenzo Fazio o Gianni Barbacetto e molti altri, e capipopolo come Grillo o Piero Ricca hanno banalmente invertito l’ordine dei fattori, e sostengono che l’Italia è oggi vittima della Casta, quando è la Casta a essere il prodotto degli italiani.
Devo a questo punto della narrazione precisare un passaggio
fondamentale, e invito il lettore a porvi attenzione. I nuovi ‘paladini’ della
controinformazione che vanta l’Italia, di cui ho citato alcuni nomi qui sopra,
denunciano cose sacrosante (quasi sempre): inciuci, corruttele, grottesche
raccomandazioni, sprechi osceni, mafiosità e collusioni, decadenze del sistema
democratico eccetra, perpetrate da parte soprattutto della cosiddetta Casta. Loro lo fanno, ma il fatto
straordinario è che oggi in questo Paese il solo fatto di averlo fatto gli
garantisce un plauso appassionato e febbricitante da parte di masse crescenti
di cittadini. Un plauso cieco, ovvero un assegno in bianco di imperitura
giustezza ed eroismo. Divengono degli intoccabili, incriticabili, e infatti
Beppe Grillo tuona “I giornalisti che ancora danno dignità a questo Paese con
la loro voce vanno protetti dagli sciaccalli di regime, dai killer della
parola. Nessuno tocchi il soldato
Travaglio…” (1), e Michele Santoro si scaglia
contro il Corriere e Repubblica per “aver
aperto una campagna critica contro Anno Zero e contro lo stesso Travaglio”
(2) – una campagna di critica, la più democratica delle
iniziative, eppure. Chiunque osi infilare mezza osservazione nel loro agire
viene immediatamente travolto dall’ira dei loro fans, il cui ragionamento è
immancabilmente questo: ma come si fa a
rompere le scatole a quei pochi ancora rimasti a dirci la verità in questo
regime? E in effetti di fronte alla nauseabonda natura delle pratiche del
‘regime’ verrebbe proprio da gettarsi ciecamente dietro ai sopraccitati
‘paladini’. Ma la vita richiede saggezza, e in questi tumulti ne rimane ben
poca. Infatti, la salute in democrazia impone che nessuno divenga intoccabile,
neppure per il più sacrosanto dei motivi, proprio perché si corre il rischio
che costui possa commettere malefatte o errori di grosso calibro protetto dal
suo scudo di venerabilità, e che quelle malefatte o errori finiscano poi per
far più danno del beneficio che il medesimo individuo procura alla società. E’
il caso proprio di Travaglio e compagni.
Sono
oggi inutili. Hanno fondato negli ultimi anni un’Industria della Denuncia e della
Indignazione che, come ho già avuto occasione di scrivere, “denuncia
i misfatti politici a mezzo stampa o editoria a un ritmo incessante, nella
incomprensibile convinzione che aggiungere la cinquecentesima denuncia alla
quattrocentonovantanove in un martellamento ossessivo di libri fotocopia, blog
e serate televisive serva a cambiare l’Italia. Eppure, che la politica italiana
fosse laida, ladra e corrotta, milioni di italiani lo sapevano benissimo già
prima che molti di questi industriali dell’indignazione nascessero, e assai
poco è cambiato” (3). Infatti. Il loro lavoro, per quanto
efficiente nello svelare il
malaffare, è del tutto inutile se si spera che da esso derivi un miglioramento.
Le prove sono davanti agli occhi di tutti, e sono incontestabili: oggi l’Italia
non è un Paese più civile, né più onesto, né più libero di quanto lo fosse
sedici o trent’anni fa, in barba all’offensiva della sopraccitata industria nel denunciare compulsivamente
il marcio. Gomez, Travaglio e Barbacetto lo hanno persino confermato nel loro
libro Mani Sporche, la cui tesi
centrale è proprio il recidivo peggioramento di ogni indicatore civico,
politico e morale in Italia da Tangentopoli ad oggi, cioè precisamente nel
periodo della massima attività della loro Industria della Denuncia e della Indignazione. Notate: hanno scritto di loro pugno che
ciò che fanno non serve quasi a nulla, ma non se ne sono resi conto, meno che
meno sono disposti a porsi qualche domanda difficile ma vitale, del tipo: e se
fosse altro quello che si deve fare?
Le smentite che vengono loro dalla realtà dei fatti sono
clamorose, ma non li smuovono dalla compulsività di ciò che fanno: hanno visto
coi loro occhi Beppe Grillo celebrare un suo autoproclamato “successo pazzesco” di consenso l’8
settembre del 2007 per le 300.000 firme raccolte dal suo primo Vday, e quindi
proclamare roboante che questi politici “non
esistono più”. Ma con gli stessi occhi hanno visto poche settimane dopo
3.517.370 italiani fioccare entusiati al parto dell’ennesimo carrozzone della
più rancida politica riciclata, il PD di Veltroni. Mettiamola così: l’Italia
della Casta batte Grillo 10 a 1, e
questo avvenne quando le sue ultime grida quasi ancora riecheggiavano in piazza
Maggiore a Bologna, e all’apice del successo di libri come La Casta o Regime. Non suggerisce nulla questo?
E poi c’è il risultato elettorale dell’aprile scorso, che li ha
travolti come mai nella storia republicana.
Possibile che a fronte di questa desolate Caporetto dell’Industria della Denuncia e della
Indignazione a nessuno sorga il
dubbio che forse è ben altro quello che si deve fare? Possibilissimo, infatti
la reazione dei ‘paladini’ della controinformazione proprio in questi giorni è
di rincarare la dose della loro inutilissima medicina. Questa recidività mi
ricorda la vicenda della vegetariana inglese e delle sue carote, un fatto
realmente avvenuto a metà degli anni ’90 a Londra e riportato dal quotidiano
The Guardian: ella si era convinta che per proteggersi dai tumori era
necessario divorare grandi quantità di carote, ma ne ingurgitò così tante da
finire in ospedale con serissimi guai al fegato. Messa di fronte all’evidenza
della sua patologia, la signora concluse quanto segue: se sto male è perché evidentemente non ho mangiato abbastanza carote.
Si dimise e corse a rincarare la dose della sua verdura salvifica. Cosa fu di
lei non si sa, ma non si fatica a immaginarlo.
E sono dannosi. In realtà, e tristemente, il modo di agire dei sopraccitati
‘paladini’ serve a giustificare (oltre agli incassi degli autori e la loro
ipertrofica fama) l’auto assoluzione di masse enormi di italiani, noi italiani
come sempre entusiasti di incolpare qualcun altro, e mai noi stessi e la nostra
becera inerzia, per ciò che ci accade. Questo è il motivo per cui il nostro
Paese rimane perennemente al palo della civiltà. La colpa non è mai nostra, ce
lo confermano incessantemente quegli sventurati ‘paladini’ della
controinformazione coi loro martellanti scritti e interventi, e questo è il danno
tremendo che ci fanno. Assolti da ogni peccato, fervidamente impegnati a
fustigare le nostre ombre sui muri, finiamo per non crescere mai, e le uniche
speranze di ripulire questo Paese vanno perdute.
E allora, codesti ‘paladini’ piuttosto che celebrare processi in
Tv, invece di fare i PR fanatizzanti di alcuni magistrati violando così le più
basilari regole dei checks and balances
della nostra professione, e invece di ossessionarci con i dettagli della
mafiosità o corruttela del politico numero 847, dopo averci raccontato quelli
del numero 846 e dopo che per le precedenti 846 volte nulla è cambiato,
dovrebbero aiutarci a processare noi stessi, a metterci tutti davanti allo
specchio per dirci: l’Italia siamo noi, i ladri siamo noi, i moralmente
decomposti siamo tutti noi, coi nostri 270 miliardi di euro di evasione di sola
IVA, con l’omertà endemica che ci tappa la bocca ovunque vediamo del marcio -
al lavoro, per strada o nei pubblici uffici, con la nostra adulazione del
potere, e col nostro amore per l’abuso del potere appena ne abbiamo un briciolo
in pugno, dagli insegnanti ai vigili urbani, dai medici agli ispettori delle
pubbliche amministrazioni. Noi italiani con il nostro individualismo ammalato
che al massimo si espande in parrocchialismo, ma mai in capacità di fare gruppo
civico aperto alla critica, e ciò neppure quando ci proclamiamo antagonisti.
Questa Italietta sudicia, ipocrita, fregona e anche violenta siamo noi.
E allora cari ‘paladini’ è con noi che ve la dovete prendere per
cambiare l’Italia, è su di noi che dovete scrivere fiumi di libri o articoli,
perché lo ripeto: gli Schifani, Berlusconi o Ricucci sono le nostre ombre sul
muro. E a che serve prendersela ossessivamente con delle ombre?
Il giornalismo investigativo in Italia deve esplodere, perché come
ho appena dimostrato è un mito, poco utile e dannoso. Esso è certamente utile
altrove, in Paesi come gli USA o la Francia o la Gran Bretagna, ma solo perché
esso cade a pioggia su una società civile del tutto diversa dalla nostra. E
allora di nuovo: la variabile determinante non è la denuncia, ma chi la
recepisce. Se prima non educhiamo gli italiani a essere civici, cioè a
partecipare, inutile denunciare compulsivamente.
Incomprensioni. Quando Beppe Grillo nel ricordarci le malefatte della Casta grida
dal palco del V2 day di Torino che i manigoldi saranno annientati perché “noi li pigliamo per il culo”, io mi
dispero. Lo stesso faccio quando Piero Ricca si arma di coraggio e telecamera e
attende il momento buono per gridare a Silvio Berlusconi “buffone!”. E mi dispero ancor più se possibile quando vedo così
tanta gente esultare sia nel primo che nel secondo caso. Perché entrambe quelle
affermazioni sono messaggi (cioè informazione) falsi e pericolosissimi.
Grillo ignora (o vuole ignorare) cosa sia realmente il
Sistema-potere, e cosa occorra per abbatterlo. Se la prende con una classe
politica nazionale che “avendo abdicato
tutti i suoi poteri ad organi sovranazionali come la Bce, la Commissione
Europea, il WTO, la Banca Mondiale”, e io aggiungo alle lobby come il Trans Atlantic Business Dialogue (TABD),
il Liberalization of Trade in Services
(LOTIS), l’Investmente Network (IN) o
la International Chamber of Commerce
(ICC), “non può fare assolutamente niente
se non l’ordinaria amministrazione” (4). Egli non comprende che i grandi mali
che affliggono l’Italia, dalla disoccupazione alla precarietà, dal rilancio
finanziario delle mafie all’informazione plastificata, e poi gli equilibri
economici in disfacimento, il degrado ambientale e la pessima qualità dei
servizi ecc., derivano ormai interamente da decisioni prese altrove. Da chi?
Dai sopraccitati poteri, che in soli 35 anni hanno saputo ribaltare due secoli
e mezzo di Storia, che hanno reso di nuovo plausibile l’inimmaginabile nella
vita quotidiana di 800 milioni di cittadini occidentali, che muovono più di 1,5
trilioni di dollari di capitale al giorno, e che tengono ben salde nelle loro
mani tutte le leve della nostra Esistenza
Commerciale (inclusa quella di Grillo, moglie e figli). Costoro non stanno
perdendo neppure un singolo minuto di sonno per lui e per i suoi colleghi
‘paladini’ dell’Antisistema italiano. Ma ha un’idea Grillo di come lavorano
questi? Dovrebbe smettere di sbraitare e capire, proprio visualizzare, il
potere di chi è riuscito in un attimo della Storia a compattare migliaia di
destre economiche eterogenee sotto un’unica egida e sotto un pugno di
semplicissime ma ferree regole, per poi travolgere il pianeta ribaltandolo da
cima a fondo: il Potere è ed è stato coeso, annullando ogni individualismo fra
i potenti; è ed è stato disciplinato all’inverosimile, ossessivamente preciso
in ogni analisi, immensamente competente, sempre silenzioso, al lavoro 24 ore
su 24 senza mai un respiro di pausa, comunicatore raffinato, con a disposizione
i cervelli più abili del pianeta e mezzi colossali. Crede Grillo che questa
immensa macchina planetaria che regola ogni sospiro della vita italiana si
preoccupi delle sue sceneggiate di piazza, o dell’incedere di un nugolo di
personaggi e istrioni più o meno credibili con al seguito una minoranza di
adepti/fans persi nell’ingenua buona fede? E allora: cosa mai risolveranno i
referendum di Beppe Grillo fanaticamente concentrato in una guerra contro una Casta nostrana che nella stanza dei
bottoni ha a malapena il controllo del pulsante del citofono?
Silvio Berlusconi sarà tante cose spiacevoli, ma di sicuro una non
lo è: un buffone. E’ invece uno dei più geniali interpreti del carattere
nazionale che sia mai esistito, e certamente il più geniale in epoca contemporanea.
La sua abilità sia come manager che come politico incute soggezione. Lasciate
perdere per un attimo che il suo percorso sia intriso di corruttele e
malaffare, lo è quello di ogni singolo magnate del pianeta; ciò che ci
interessa qui, è capire che questo uomo tiene saldamente le leve di una
macchina sofisticatissima e multimiliardaria di creazione del consenso, che per essere combattuta va
presa estremamente sul serio, altro che buffone e prese per il sedere. E arrivo
a dire che la cosa più demenziale e infausta che l’opposizione intellettuale e
movimentista al Cavaliere potesse immaginare di fare in questi anni è quello
che ha invece sempre fatto: sbeffeggiarlo, insultarlo, ridicolizzarlo,
chiamarlo psiconano, e insistere compulsivamente nel denunciarne le malefatte
già ultranote a ogni singolo italiano attraverso la cronaca quotidiana e il
lavoro dei giudici, mentre lui intanto si mangiava il Paese col consenso.
Andava invece attentamente studiato, andavano comprese e individuate le sinapsi
della mentalità italiana su cui la sua comunicazione si allacciava con
spaventosa efficacia, ed esclusivamente su quelle sinapsi bisognava lavorare,
con una macchia comunicativa altrettanto fruibile e martellante quanto la sua,
anche se portatrice di valori opposti, e che la sinistra intellettuale (snob)
non ha saputo costruire. Altro che buffone e pernacchie.
Mafie, ‘parrocchie’ e informazione.
Guardiamoci. Siamo un popolo che si divide inesorabilmente in ‘parrocchie’ o ‘mafie’. Se non siamo mafiosi, siamo parrocchiali, una delle due, non si fugge. Cioè, se non ci aggreghiamo per colludere in affari criminosi di vario grado, col loro corredo di atrocità, truffe, omertà, insensibilità per la sofferenza altrui, adulazione del potente, piacere nell’abuso del potere (dall’associazione per delinquere di stampo narcomafioso o bancario, alla cordata assicurazione-pretura-avvocati-grande policlinico per tacitare un’operata di cancro nella mammella sbagliata; dal patto trasversale ipermercati-grossisti per fare cartello sui prezzi truffando i cittadini, al consapevole risucchio dei pensionati in difficoltà nelle più ignobili spirali di indebitamento da parte di finanziarie da galera ecc.), noi italiani ci raggruppiamo in parrocchiette di ‘compagni di merende’, litigiose, esclusive proprio nel senso di escludenti, solo formalmente aperte ma in realtà a strettissimo raggio, nemiche giurate della libertà di pensiero, insomma consociative ma sempre travestite da qualcos’altro (e questo dal Corriere della Sera al periodico universitario, passando per le redazioni televisive, per i centri sociali, ONG, blog più o meno noti, gruppi online, comitati civici, ONLUS ecc.). Come si può facilmente immaginare, il pensare liberamente e la facoltà di criticare a 360 gradi non sono compatibili con gli interessi né delle mafie né delle ‘parrocchie’. Ma sono proprio il libero pensiero e la critica senza barriere le componenti fondamentali della libera informazione al sevizio dei cittadini. E allora?
In altre parole, noi italiani la libertà di informare non la vogliamo, e quando si affaccia sulla soglia della nostra ‘mafia’ o ‘parrocchia’ la odiamo e la cacciamo con singolare ferocia.
E come fa un popolo così ad avere una libera informazione?
Già posso già udire la levata di scudi di quelli che “Io? Io proprio no! Io compro il Manifesto… io leggo Libero… io sono Padano mica italiano… io sono con Beppe, vaffa te Barnard… io sono stato in Afghanistan con Gino, figuriamoci… io dico viva Travaglio, che c’entro io?...” . E invece c’entrate, c’entriamo tutti, e soprattutto proprio quelli di noi che sono confluiti negli ultimi anni nel cortile dei nuovi antagonisti, altra ‘parrocchia’ che sta ahimè replicando molti dei tratti più meschini dei più trazionali conglomerati mediatici italiani.
In questo mio scritto dedicato all’informazione mi concentro proprio su questo cortile antagonista per una serissima ragione: perché esso dovrebbe essere la fucina delle uniche speranze rimaste in Italia di ottenere un’informazione libera, e se dunque al suo interno si replicano le meschinità del Sistema-potere, se anch’esso è divenuto ‘parrocchia’, è veramente una tragedia immane per tutti. Dell’altro cortile, quello del giornalismo regimentato, non dico nulla qui, tutto è già stato scritto fino alla nausea.
Vi snocciolo ora alcuni esempi a riprova di ciò che sostengo, fra i tantissimi possibili. Sono tutti frutto della mia esperienza personale, e non per protagonismo ma solo per la certezza di ciò che posso descrivere, avendoli vissuti in prima persona.
Nella primavera del 2007 inviavo
agli amici di Peacereporter, sito
portavoce dell’ONG Emergency, una
critica all’operato di Gino Strada, che da settimane si scagliava con crescente
acrimonia contro il governo Karzai in Afghanistan, reo, secondo il chirurgo e
un ampio stuolo di intellettuali italiani, di violare tutte le più elementari
regole del garantismo giuridico con la detenzione di Ramatullah Hanefi, manager dell’ospedale di Emergency a Lashkargah e mediatore per l’Italia nel noto rapimento
di Daniele Mastrogiacomo. Un appello per la liberazione di Hanefi venne scritto
e divulgato, con firme della posta di Claudio Magris, Enzo Biagi, Gherado
Colombo e Maurizio Costanzo fra gli altri. Il testo cominciava con le parole “La Costituzione afghana…”. Ma quale Costituzione?
Quella esportata laggiù a colpi di bombe cluster e di migliaia di morti? Quella
solennemente varata a Kabul nel 2003 da Hamid Karzai e dalla sua Lloya Jirga, e
cioè da un pupazzo del Dipartimento di Stato americano ex consulente del
gigante pertrolifero USA UNOCAL, tenuto sotto la mira dei B52 della US
Airforce, e in combutta con la peggior masnada di criminali di guerra e
stupratori noti con l’appellativo di Alleanza del Nord? Quella contemplata con
stupore dagli afghani nella speranza che qualunque cosa (anche un testo
marziano venuto da chissà dove) fermasse le stragi della NATO e le inaudite
violenze dei ceffi dell’Alleanza del Nord –responsabili di oltre 50.000 morti
civili dal 1993 al 1998 di cui 24.000 solo nel 1994, e poi stupri, mutilazioni,
spaccio di eroina? (5) Cioè la più classica “Constitution at gunpoint” per promuovere la “Democracy at gunpoint”? Quella? Sì, proprio quella. E il testo
degli intellettuali italiani continuava così: “Il prolungarsi della detenzione di Rahmatullah Hanefi, in spregio ai
diritti universali e alla più elementare dignità umana, avviene in palese
violazione della Costituzione afgana… L’attuale sistema giuridico afgano è
stato costruito con la collaborazione e l’importante sostegno finanziario per
cinquanta milioni di dollari dell’Italia”.
Diritti
universali, dignità umana, e leggi eufemisticamente nate dalla collaborazione e
dal denaro italiano. Risulta a qualcuno che i pastori tagiki, che i
commercianti pashtun, o che le donne hazara se li siano mai scelti quei
diritti? Sappiamo almeno se li condividono? Ha un senso per loro la nostra
dignità? Si sono mai espressi su quella? Cosa hanno da spartire le regole delle
democrazie parlamentari europee con duemila anni di relazioni tribali
centroasiatiche? Con che diritto l’Italia, Gino Strada e l’intellighenzia al
suo seguito pretendono il rispetto di regole e di diritti che con secoli di
vita afghana c’entrano come un intervento di laparoscopia robotica con le
pratiche curative sciamaniche? Importa qualcosa che a magistrati, medici e
giornalisti cresciuti su un altro pianeta certe regole afghane creino sgomento
e riprovazione? Sono afghane, sono le loro
regole. E il mio ragionamento continuava: se si sancisce il diritto di una
potenza conquistatrice di imporre ad un altro Paese le sue regole di “democrazia e giustizia occidentale ora,
subito!” a suon di proteste (di insulti, di ricatti commerciali e di
missili), allora sanciamo fin da ora il diritto degli afghani, dei talebani, o
dei cinesi o di chiunque al mondo di gridare “tortura e pena di morte ora, subito!” se mai capiterà che un giorno
siano loro ad avere abbastanza bombe per offrirci
la loro Costituzione. E tornando dunque alla ferrea determinazione di Gino
Strada e soci nell’avanzare quelle perentorie richieste, quale differenza c’è
fra il loro modo di pretendere “democrazia
e giustizia occidentale ora, subito!” in Afghanistan e quello tipico
dell’imperialismo culturale dei neocons americani capitanati da Samuel
Huntington con il loro “democrazia
all’americana ora, subito!” esportato in mezzo mondo? L’uso delle bombe
invece che una petizione scritta a Milano? I sordidi fini di sfruttamento degli
americani invece del sentimento di giustizia dei nostri intellettuali? Davvero?
Credete voi che la lettera di Strada, Colombo e soci sarebbe mai giunta a Kabul
senza quel dettaglio degli 8.000 morti civili di questa orribile invasione,
della coventrizzazione di interi villaggi, e della nova resa in schiavitù delle
donne afghane che oggi si danno fuoco con disperazione senza precedenti? (6) Credete che le consulenze giuridiche discese da Roma su
Kabul non servano proprio a spianare la strada agli avvocati delle solite note
corporazioni o agli infausti ‘cooperatori’ internazionali?
La
realtà, per chi vuole vederla, è che Gino Strada, proprio lui, si era accodato
al più classico imperialismo culturale, e questo era sbagliato. Terribilmente
sbagliato.
Scrissi tutto ciò a Peacereporter, li invitai a una riflessione fondamentale, che va al cuore dell’intercultura, che è oggi di drammatica attualità. Sostenevo che non è in quel modo che si ottiene un avanzamento dei valori fondamentali dei popoli (ciascuno i suoi). Lo pubblicarono? Macché. Concessero ai loro lettori il beneficio del dissenso? Macché. La ‘parrocchia’ si chiuse a riccio, e fine del libero dibattito.
E poi ancor peggio. Nel settembre scorso un paio di simpatizzanti di Emergency mi contattarono per chiedermi un favore: "Paolo, fra pochi giorni alla convention nazionale di Emergency ci sarà lo storico americano dissidente Howard Zinn. Ci faresti la cortesia di intervistarlo? L'intervista sarà pubblicata da Arcoiris Tv". Risposi di sì, me lo chiedevano come amici ma soprattutto in virtù del mio specifico di politica estera. Pochi giorni dopo, in evidente imbarazzo, i due sopraccitati mi dettero la seguente notizia: "Dalla dirigenza di Emergency è arrivato un veto sulla tua presenza. Non ti vogliono, non hanno preso bene le tue critiche a Gino Strada". Una sintetica mail di Peacereporter, poco dopo, mi confermava questa incredibile decisione.
La prima cosa che mi venne in mente lì per lì fu George W. Bush, di nuovo. Così come Bush si arroga il diritto esclusivo di terrorizzare qualsiasi popolo - nel senso che a nessun altro è concesso il diritto di terrorizzare gli americani, così Emergency e Peacereporter si arrogano il dritto esclusivo di criticare ferocemente gli altri - nel senso che a nessun altro è concesso il diritto di criticare loro. Eppure la libera critica dovrebbe essere la linfa vitale della giustizia e della democrazia. O sbaglio?
Infatti su Peacereporter un libero dibattito su Emergency e sulle sue tante controversie è impossibile.
Se
questa parrocchialità accade fra i ‘nuovi’, fra quelli che non hanno
Confindustria o il Vaticano che gli soffia sul collo, immaginate al Corriere o al TG1 di Gianni Riotta.
E di seguito: si chiuse a riccio la ‘parrocchia’ del Manifesto quando, dopo vent’anni di collaborazione, mi negarono la pubblicazione di un editoriale dove gli chiedevo: “Se Calipari fosse morto nelle stesse identiche circostanze, ma per salvare Agliana, Quattrocchi, o Cupertino, voi cosa avreste scritto di lui? Avreste celebrato la morte di un eroe, o avreste scritto di uno ‘sbirro’ al servizio sciagurato dei contractors imperialisti?”. In altre parole, l’onestà intellettuale non andrebbe posta in cima al lavoro della storica testata senza padroni? Se non si fa chiarezza su questo punto in via Bargoni, come si procede? Si può procedere? Silenzio.
Spettacolare la parrocchialità di
un gruppo No Tav della Val di Susa, e sto sempre nell’ambito dei cosiddetti
‘liberi battitori’, per gli essenziali motivi citati in precedenza. Il 14
febbraio 2008 ricevo da una loro attivista un invito a tenere un dibattito in
valle: “Sia
come associazione che come comitati No Tav saremmo felici di averti ospite a
qualcuna delle serate informative che organizziamo, oppure di organizzarti
alcune serate (nei vari paesi della Val di Susa e Sangone) sul tema della
censura sull’informazione in Italia.”
Notate che il fulcro della cosa è la censura. Rispondo il 27 dello stesso mese
e fra le altre cose scrivo: “Possiamo
parlare di informazione, società civile organizzata, cosa fare e come. Sappi
che dico cose molto impopolari per i fans di Grillo, Travaglio ecc.”. La
solerte signora cinque giorni dopo specifica: “Nella riunione di
comitato di giovedì scorso ho portato il nostro scambio di mail e ci
siamo chiesti cosa intendi con ‘cose molto impopolari per i fans di
Grillo, Travaglio ecc’… vorremmo capire meglio, anche per non creare confusione
fra la gente a cui ci rivolgiamo, visto che martedì avremo, per
l’appunto, Marco Travaglio che presenterà il suo libro Mani
sporche… Se riesci a mandarci uno spunto per
fargli magari qualche domanda specifica che ci faccia capire te ne saremmo grati.”. La indirizzo alla lettura del
mio Considerazioni sul V-day (7) e
allego una precisa serie di domande critiche per Travaglio, poi attendo.
Attendo, attendo. Dopo divesi giorni sollecito, e a metà marzo mi arriva una
mail di centosette righe fitte, dove l’attivista No Tav si dilunga eternamente
sulle sue lotte sociali, sul coraggio, sugli alti ideali. Poi, in fondo: “… Devo dirti in tutta onestà che non abbiamo
sfidato Travaglio… gli siamo riconoscenti per essere venuto… grazie a questo
fatto sono arrivati tantissimi cittadadini (uno stadio zeppo come da foto
allegata, nda)”. Ed ecco la stoccata finale: “Tu sei un grande e coraggioso giornalista… all’interno del nostro
comitato il dibattito è al punto che ci piacerebbe avere prima un
incontro-confronto con te, per capire…”.
Ah sì?, rispondo. Lo avete fatto “l’incontro-confronto per
capire” con Travaglio? Con Imposimato? Con Diego Novelli? Cioè con tutti
gli altri ospiti delle vostre serate? E vi siete preoccupati anche con loro di
“non creare confusione fra la gente a cui
ci rivolgiamo”? Da quando si fanno i pre-esami agli intellettuali che si
invitano a parlare alle serate? Risulta a qualcuno che questa sia la prassi?
Non commento oltre, non credo ce ne sia bisogno. Censura, altro che libero
dibattito in quel No Tav. La ‘parrocchia’ è chiusa in Val di Susa, e perdonate
la rima.
La medesima cosa mi accade in un centro sociale di Bologna,
l’XM24, forse ancora peggio. Questi sono gli antagonisti arrabbiati, i
giovanissimi irriducibili, gli sfasciaSistema per eccellenza. Bene. L’invito
che ricevo è a parlare di informazione, e tutti sanno che sono nel mezzo di
un’aspra polemica con Report di
Milena Gabanelli, che accuso di essere collusa con la RAI in Censura Legale (8) e
impegnata in un’opera di censura a tappeto del dissenso nel forum della sua
trasmissione (9). Tre giorni prima dell’incontro, un rappresentante del
collettivo si presenta a casa mia: ha parlato con Bernardo Iovene,
collaboratore stretto di Gabanelli ma soprattutto amico intimo del leader di
XM24. Iovene sostiene che io vado raccontanto balle e diffamazioni sia su Censura Legale che sulla censura nel
forum di Report, è vero? In via del tutto eccezionale, data la giovanissima età
del ragazzo, gli perdono quello che non ho perdonato ai No Tav, e mi sottopongo
a verifica preventiva. Mostro al giovane tutti i documenti processuali, le
prove nero su bianco, rispondo a ogni domanda. Lui è soddisfatto. L’incontro si
fa. Dopo 48 ore mi arriva una chiamata: Iovene è stato di nuovo al collettivo,
c’è stata discussione, e allora “Barnard
lei può venire, può parlare di informazione, ma non può parlare di Report (sic)”.
Avete letto giusto: i giovani antagonisti, gli antiSistema duri e puri, vietano
preventivamente all’ospite di parlare, gli mettono un guinzaglio affinché più
in là di qualche metro non vada. Non credo sia mai capitato a Porta a Porta,
non così spudoratamente. ‘Parrocchia’ anche qui.
E poi i meet up
di Beppe Grillo, e Grillo in persona. Qui la ‘parrocchia’ ha veramente
funzionato, soffocando un pezzo di informazione con la stessa efficienza di un
Tg di Emilio Fede. Spiego i fatti. La eco della mia pubblica denuncia della
collusione di Milena Gabanelli con RAI in Censura
Legale ha toccato gli angoli più disparati della Rete, e naturalmente è approdata
ai meet up. Alcuni membri di quei
gruppi hanno d’istinto portato la vicenda
nella pagine del blog di Grillo, visto che si parlava di censura e a
pochi giorni dal V2 day sull’informazione. Ma a quel punto un fatto curioso ha
iniziato ad accadere: i loro messaggi indirizzati al comico genovese sparivano.
Strano. Vi lascio alla spettacolare sequenza di eventi così come sono accaduti
al meet up di Napoli, per comprendere
di cosa sto parlando:
“Posted mar 27, 2008 at 11:32 AM
Qualche giorno fa mi hanno passato questi due
link: http://www.arcoiris.t... e http://www.arcoiris.t... Questi video non sono altro che
l'intervista a Paolo Barnard: uno dei migliori giornalisti...scusatemi... EX
giornalista di Report, la famosa trasmissione televisiva di rai tre condotta da
Milena Gabanelli. Dovete - per favore - vedere i video perchè DOVETE aprire gli
occhi. Milena Gabanelli come Pozio Pilanto se ne è lavata le mani, sul forum di
Report sono stati bannati (censurati) tutti gli interventi su questo argomento
(CESURA LEGALE).
Sul sito di Beppe Grillo è stata fatta la
stessa cosa... Apriamo gli occhi.
Vittorio Emanuele”
“Posted mar 28, 2008 at 3:38 PM
Io scrivo sul forum di annozero e qualche
volta su quello di report. Ho partecipato solo all'inizio alla lunghissima
discussione che c'è stata e che poi è sparita. Conosco le persone bannate, sono
persone civili, educate, acute, con un senso civico altissimo. Non hanno mai
sforato nell'offesa o nella volgarità, ma hanno dato fastidio chiedendo,
pretendendo chiarimenti.
Tutto questo può diventare improvvisamente
non interessante perchè barnard ha fatto il nome di grillo?
Grillo sta organizzando un V-day sulla
informazione, perchè non affrontare anche questa questione? E' importante o no
per la democrazia, per il sistema informazione in italia....la gabanelli non ne
parla.
Maria Gabriella”
“Posted mar 28, 2008 at 9:51 PM
Ho bisogno di una risposta a questo quesito:
io e altri abbiamo ripetutamente postato la lettera aperta (su Censura Legale di Barnard, nda) sul blog di Grillo. Non è mai stata postata. Come mai? Qualcuno sa
darmi una spiegazione? Grazie.
Maria Gabriella”
“Posted mar 28, 2008 at 10:03 PM
Prova a spezzettarla, il blog accetta 2000
caratteri per volta.
Mariano.”
“Posted mar 28, 2008 at 10:37 PM
...cmq è vero è da piu di mezzora che cerco
di postare su blog di Grillo la lettera aperta su Censura Legale (di Barnard, nda),
non riuscendoci... Non mi postano neanche le mie proteste in merito.........
non capisco...........
Mariano.”
“Posted mar 29, 2008 at 1:17 AM
non potevo, non volevo crederci... mi chiedo
che senso abbia il v2day sull' INFORMAZIONE se Grillo sul suo blog applica la
censura nei cfr. di determinati argomenti.... sono confuso....deluso...
pretendo chiarimenti...chiedo a Roberto Fico,
Marco Savarese e Vittorio, e a tutti gli amici del meetup di napoli di
pretendere altrettanto.... di chiedere chiarimenti a Grillo.... che questa
discussione venga puntinata.”
La
notizia che anche Grillo stia censurando sul suo blog rimbalza allarmante a
diversi altri snodi italiani dove si raggruppano i seguaci del comico, come
Milano, Roma, Bologna, Ladispoli, Carbonia, o Messina:
“Posted apr 13, 2008 at 5:07 PM
Sul BLOG di Grillo i post che contengono il
nome di BARNARD vengono censurati. Provate voi stessi e vedrete. Io ho fatto
alcune prove, anche camuffando il nome. Niente. Mi pare una questione molto
seria. Ne vogliamo discutere?”
“Posted apr 9, 2008 at 9:09 PM
Se ci tappiamo gli occhi di fronte a questa
vicenda; se non siamo in grado di rompere quelle che assomigliano alle vecchie
regole di omertà e fedeltà alla linea di partito; se non facciamo questo, ora e
subito, credo dobbiamo rinunciare ad ogni speranza di cambiamento e di battaglia
per la verità. Voglio poter andare al prossimo V-Day con l'animo in pace e con
la coscienza pulita
Stefano.”
“Fabio bergonzoni (cipputi) Commentatore
certificato 01.04.08 11:09 |
quando mi capita di scrivere un commento non
troppo "consono" al blog viene censurato... dio mio c'è del marcio
anche qui? ho visto che non capita solo a me. è triste. è sconfortante. non si
sa più dove girarsi... non c'è piu niente di pulito.”
Io
stesso ricevo diverse mail che confermano puntualmente la censura sul blog di
Grillo e di cui offro solo alcuni esempi:
Date: Mon, 07 Apr 2008 15:32:29 +0200
From: Stefano <vstefanoxx@****>
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Di nuovo su censura legale
“Ho provato a spedire un messaggio nel blog di Beppe Grillo, le cui
uniche parole riconducibili al tuo caso erano RAI, Gabanelli, Report e Barnard:
niente, il messaggio non è arrivato.
Ultimo tentativo, questa volta con le parole camuffate… Ne ho spediti
un paio e sono rimasti là almeno una mezz'ora/un'ora (probabilmente erano un
po' distratti). Stamattina i miei post erano spariti. Questa vicenda mi
disgusta...”
Date: Tue, 11 Mar 2008 12:17:03 +0100
From: mariapiapil@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Re: Report e Anno Zero
“Ho scritto quanto segue nel blog di Grillo. Non ne ho trovato
traccia... Mp.
‘Vorrei esprimere il più totale rifiuto e indignazione verso la Censura
Legale di cui è oggetto Paolo Barnard e tutte le persone che in diversi blog e
forum....’”
Date: Fri, 21 Mar 2008 18:21:08 +0100
From: sapesci@****
To: dpbarnard@libero.it
Subject: Grillo censura...
“Avevo già segnalato il tuo caso sul sito di Beppe Grillo. Una delle
due segnalazioni che ho inviato, quella nel commento più votato, è stata
bannata!.... La Gabanelli anche lì evidentemente non si tocca! ma tu resisti...
non sei solo!”
Tutto
questo accade a meno di un mese dal V2 day di Torino. In sostanza: Beppe
Grillo, che sta lanciando la più imponente crociata popolare contro
l’informazione “di regime” della
storia contemporanea, usa la censura nel suo stesso blog, da lui sventolato ai
quattro venti come il futuro della libertà di espressione, come il salvagente
della libertà di parola in Italia. Lo fa, aggiungo, perché notoriamente amico
intimo di Milena Gabanelli, e fra compagni di ‘parrocchia’… Ma ciò che sarà ancor
peggio, è come l'ondata di indignazione di tanti membri dei meet up si spegnerà docilmente al
sopraggiungere dell’adrenalinica giornata del 25 aprile, con la sua cornucopia
di emozioni, protagonismo per un giorno e trascinamento acritico di tanti da parte
dell’istrionico genovese. Eppure non sarebbe stato difficile capire che in
gioco vi era un fatto gravissimo, e cioè la scoperta che il grande inquisitore
aveva replicato lo stesso odioso comportamento che si accingeva a castigare con
feroce intransigenza in tanti altri. E se una frazione di rigore intellettuale
e morale fosse riuscita a sopravvivere a quella festa di piazza, i seguaci di
Beppe Grillo avrebbero dovuto imporre una riflessione all’intero evento: quella
replica ipocrita lo aveva già corrotto fin nelle fondamenta prima ancora di
iniziare, inaccettabile continuarlo così.
Ahimè
rimane un fatto che da quella data è calato il silenzio su questo caso. Di
nuovo, la ‘parrocchia’ dei meet up ha
chiuso i portoni, e un libero dibattito sulla gravità del comportamento di
Beppe Grillo è rimasto fuori.
Il caso Gabanelli. Il ‘litmus test’.
Quando il parroco chiama a raccolta. E sempre in tema, mi soffermo sulla reazione di alcuni dei
più noti rapppresentanti dell’Antisistema italiano a quella parte della mia
denuncia su Censura Legale che
inevitabilmente ha gettato ombre sulla conduttrice di Report Milena Gabanelli. Essa si è rivelata un litmus test, per dirla all’inglese, e cioè un vero banco di prova.
Infatti, nella ‘parrocchia’ che si è chiusa a riccio a protezione della nota
giornalista si sono infilati alcuni dei nomi più celebri della compagine
dell’informazione antagonista italiana. Non è loro bastata la schiacciante mole
di prove documentali che inchiodavano Gabanelli e la RAI; non gli sono bastate
le proteste per iscritto con nomi e cognomi dei tanti cittadini censurati
brutalmente dalla Gabanelli per aver osato dissentire e chiedere spiegazioni;
non è stato sufficiente spiegargli accoratamente che la replica al loro interno
dei metodi del Sistema-potere è una bomba a orologeria moralmente inaccettabile
e che finirà per delegittimarli danneggiando irreparabilmente tutti gli
attivisti italiani. Nulla di tutto questo è servito, e così Marco Travaglio,
Aldo Grasso, Lorenzo Fazio, Sabina Guzzanti, Beppe Grillo e persino Piero Ricca
si sono schierati in difesa della propria ‘parrocchia’, ciascuno a modo suo.
Prima
di continuare preciso e sottolineo: il fatto che il caso Gabanelli sia
ricorrente lungo diverse parti di questa narrazione non è segno di un mio
accanimento rancoroso, di una malcelata velleità vendicativa, di squilibrio
professionale. Le ragioni sono quelle appena citate, e solo quelle: si è
trattato di un punto di svolta clamoroso, un episodio che ha per la prima volta
squarciato il velo su una dibattito soffocato anche se di fondamentale
interesse pubblico: sono veramente diversi dal Sistema-potere i nuovi ‘paladini’ italiani
della libertà di parola? Come reagiscono quando sono loro a essere colti in
fallo? Possono centinaia di migliaia di italiani fidarsi ciecamente di loro? E
in ogni caso, è giusto affidarsi?
Ecco perché quell’affaire ricorre così spesso qui. Mi ha scritto una lettrice: “Gent.le Dr. Barnard, sono rimasta colpita sia dalla vicenda in sé, sia dalle relative implicazioni sociali. Ritengo che quanto è avvenuto sia gravissimo: anche i programmi e le rubriche che (apparentemente) prendono posizione a favore di una cultura della legalità e dei diritti sono, dunque, "sepolcri imbiancati" (per usare un'espressione molto forte ma, credo, non fuori luogo)”.
Marco Travaglio.
La
prima volta che portai all’attenzione del giovane cronista di giudiziaria le
crepe che si stavano aprendo nel gruppo dei ‘paladini’ fu il 14 dicembre del
2006. Le risposte che mi arrivarono furono dei monosillabi inespressivi e
seccati. Mai alcunché sui punti specifici. Fu uno dei primi a ricevere la mia
denuncia su Censura Legale, di cui
lui stesso è vittima fra l’altro, ma nulla. L’ho sollecitato di recente con una
lettera aperta, nella quale gli chiedevo di esprimersi sia sul critico rapporto
fra fama/potere e libertà d’espressione (Travaglio è un’idolo nazionale e corre
seri rischi in questo), sia sul comportamento della collega Gabanelli. Nessuna
replica. Poi ricevo da un lettore quello che Travaglio aveva a lui dichiarato
in merito a ciò che gli avevo scritto: “Sono
tutte balle (vicenda Gabanelli)” e “Non
ho tempo da perdere dietro ai delirii di uno squinternato che mi diffama su
internet con processi alle intenzioni (le mie considerazioni su fama/potere
e libertà)”. Replico a questo livello di tracotanza offensiva e di ignoranza
dei fatti (Travaglio, che è un cronista, evidentemente non sa nulla delle prove
documentali che ho fornito in Censura
Legale) e fra le altre cose scrivo: “Nessun
processo alle intenzioni. Travaglio
si è già corrotto. Come fa lui, il censore morale, a stare fisso nel salotto Tv
di uno che per prima cosa è un arcinoto raccomandato di lunga data della
lottizzazione Tv dell’asse PCI-Sandro Curzi, ma che ha poi fatto scempio del mandato elettorale di
tanti italiani per scendere da Strasburgo (dove ha soggiornato a spese dei
cittadini) a riprendersi il suo ‘giocattolo’ preferito? Cos’è un mandato
elettorale? Un parcheggio temporaneo? Una cura ricostituente? E costui, cioè
Santoro, oggi sta in televisione a bacchettare il malcostume della politica
(sic). Può Marco dire quanto sopra in
faccia a Santoro in diretta ad Anno Zero? Eppure sono fatti conclamati. Può? Lo
ha fatto?
Può Travaglio dire che la sua casa editrice Chiarelettere è diventata il
fans club di un magistrato e di una fetta di magistratura con tanto di
striscione e motto sul sito (caso unico in occidente), facendo così a pezzi il
più sacro dei principi dei checks and balances nel giornalismo? Può? Lo ha
fatto?.
Può Travaglio spiegarci cosa ci stanno facendo lui e Milena Gabanelli
in prima serata Tv dopo che lui stesso ha perentoriamente dichiarato nel 2006
quanto segue:
‘In televisione è vietato tutto ciò che è libero,
indipendente e autonomo. Perché? Perché non si sa mai cosa può dire uno libero,
che non risponde, non si sa mai cosa potrebbe fare, non si sa mai cosa potrebbe
raccontare... Se uno è asservito è controllabile, si conoscono le dimensioni
del suo guinzaglio, e si sa anche chi lo tiene in mano il guinzaglio. Chi non
ha il guinzaglio in televisione in questo momento non lavora e chi ci lavora in
un modo o nell’altro un suo guinzaglio ce l’ha.
Si tratta a volte
di scoprirlo, per quelli più furbi, che lo nascondono meglio, per altri si
tratta di capire quanto è lungo, ma non c’è dubbio che chiunque lavori in
televisione nei posti chiave, che si occupano di informazione, di attualità, o
che si occupano disettori limitrofi, il guinzaglio c’è e lo tiene in mano
qualcuno. Poi ci può essere qualcuno che ha il guinzaglio e pure è bravo (sic,
nda), non è mica escluso, è difficile, ma non è escluso; la regola è comunque
che ciascuno deve essere controllabile e ciascuno deve essere prevedibile ,
ciascuno deve avere qualcuno che garantisce per lui altrimenti sulla base delle
proprie forze e delle proprie gambe lì dentro non ci si entra’?”
E ora aggiungo: può Travaglio farci capire come è possibile
che il direttore di RAI 3 Ruffini sia, secondo le sue lapidarie parole, un
censuratore di professione “perché ha
cancellato Raiot di Sabina Guzzanti”, quando lo stesso Ruffini lascia Report in prima serata da più di 4 anni?
Lo è o non lo è un censuratore? Oppure è la Gabanelli che ha le spalle coperte?
O è Travaglio che diffama a casaccio? Può chiarire?
Può questo giornalista dare conto della sua partigianeria
manifesta per un partito politico con tanto di indicazione di voto pre
elettorale (IDV e Di Pietro) e di come questo suo comportamento deturpi l’abc
della nostra deontologia, che pretende una netta separazione del giornalista
dalle fonti del potere che dovrebbe severamente monitorare?
Può infine avere la decenza di leggersi le carte
processuali che così chiaramente espongono Milena Gabanelli come collusa con la
RAI in uno dei più gravi casi di Cesura
Legale, e le testimonianze dei cittadini censurati dalla condutrice di Report? E avrà la coerenza di prendere
posizione contro quel malaffare nato nel cuore dell’informazione ‘pulita’, così
come lo condannerebbe se praticato da chi non è suo amico personale? Insomma,
avrà la forza di non finire a erigere muri attorno all’ennesima ‘parrocchia’?
La risposta a ciascuno di questi quesiti è no. Perché fra
‘parrocchiani’ non ci si tocca, e al diavolo la libertà di pensiero, la libertà
d’espressione e l’onestà personale.
Lorenzo Fazio e Aldo
Grasso.
Editore di provenienza Rizzoli e patròn della casa editrice
Chiarelettere – che pubblica Travaglio, Gomez, Corrias, Barbacetto, Beha ecc. –
Lorenzo Fazio ha avuto fra le sue firme sia il sottoscritto che Milena
Gabanelli. Da notare che questo editore ospita nel suo sito un blog dal titolo Tiro Libero, spazio dedicato al
monitoraggio del giornalismo italiano. Sono ancora in attesa che quel
‘monitoraggio’ dedichi a Censura Legale
qualcosa di meglio di tre righe vaghe e fuori tema. La Censura Legale non è cosa da poco, è a tutti gli effetti una
minaccia serissima alla libertà di stampa italiana, come conferma mirabilmente
un saggio di una delle nostre più rispettate giuriste, Giovanna Corrias Lucente, e che così riassume la serietà della
questione: “Sulla testa di ogni giornalista pende oggi la
spada di Damocle di una querela per diffamazione. Lui – e il suo giornale –
rischia la bancarotta, chi querela assolutamente niente. Anche se la denuncia
si rivela infondata, infatti, è quasi impossibile ottenere un risarcimento.
Risultato: i giornalisti scrivono sempre di meno e sempre più politically
correct, le querele per diffamazione non si contano e i danni morali liquidati
raggiungono cifre sbalorditive. Con buona pace del pluralismo e della libertà
di stampa.”. (10) Ma
Lorenzo Fazio è della
‘parrocchia’, ha la conduttrice di Report
in prima fila fra le firme Vip dei sostenitori della sua impresa editoriale, e
dunque zitto, “con buona pace del
pluralismo e della libertà di stampa”.
Aldo Grasso, il critico televisivo più caustico d’Italia, uno spirito
libero, così dicono. Lo chiamo in febbraio, gli espongo la questione Censura Legale, e lui: “E’ grave, è capitato anche a me, un editore
mi ha lasciato solo in tribunale a sorbirmi tutte le grane di ciò che mi aveva
pubblicato...”. Bene, replico, allora sai di cosa parlo, ci scrivi due
righe sul Corriere? Grasso: “Ma… sai… io
sono amico della Gabanelli, e prima di attaccare un’amica dovrei vedere
meglio...”
Notate bene che non ha detto ‘prima di attaccare un cittadino’, che
sarebbe stato solo giusto. Ha detto “un’amica”,
cioè il critico televisivo è ‘compagno di merende’ di chi dovrebbe scrutinare.
Non demordo, gli mando ogni prova documentale, ogni riscontro nero su bianco,
tutto. Lo richiamo dopo quasi un mese, e la solfa è la stessa: “Ma sai… io sono amico della Gabanelli, e
prima di attaccare un’amica…”.
Piero Ricca.
Il 2 aprile 2008 mi scrive: “Caro
Barnard, vorrei capire meglio la vicenda che la riguarda. Vorrei farle
un'intervista, magari video, ma non necessariamente, da far girare on line, a
partire dal mio blog. Un cordiale saluto, Piero Ricca”. Ne sono felice,
accetto. Lui ribadisce: “M’interessa
anche il tuo punto di vista su leadership e responsabilità individuale nel
campo della società civile ‘progressista’ o ‘antagonista’…”. Perfetto,
ancora meglio. E ancora lui: “Confido in
video-intervista sugli sviluppi e il signficato del caso non appena possibile
per antrambi”.
Nel frattempo lo rendo edotto di ciò che penso dell’Industria della Denuncia e dell’Indignazione,
e glielo dico chiaro, lui c’è dentro fino al collo. Parliamone. Inoltre gli
manifesto il mio disagio di fronte a certi suoi, chiamiamoli, eccessi di
provocatorietà nel corso dei suoi arrembaggi a Vip politici o finanziari. Il
rischio, suggerisco, è proprio quello di replicare metodi violenti nel nome di
una autoreferenziale giustezza civica. Piero si risente un poco, me lo
comunica. Il tempo però passa, e dell’intervista che mi voleva fare si sono
perse le tracce.
Sabina Guzzanti.
Stessa trafila di Ricca, anche lei mi contatta per una intervista, l’11
di febbraio: “Caro Paolo Barnard, dato
che sto lavorando a un film documentario sull’informazione vorrei intervistarti
e raccogliere la tua testimonianza (sperando che la parola non ti ricordi
troppo i tribunali)”. Scottato come sono dall’effetto ‘parrocchia’, decido
di mettere le mani avanti: cara Sabina, leggi prima quello che ho scritto di
voi Vip alternativi e di ciò che state facendo, poi se ancora vorrai sentirmi…
Lei replica: “Caro Paolo, grazie della
risposta. Ho letto il tuo articolo e non mi è passata la voglia di
intervistarti. Ti chiamerò un giorno di questi per prendere un appuntamento”.
Sono ammirato, forse qui si respira aria nuova. Nelle settimane seguenti le
mando via mail i dettagli della vicenda Censura
Legale, e con essi una sintetica cronaca in diretta della censura che sta
calando implacabile su molti utenti del forum di Report man mano che la cosa monta. Le segnalo anche quella del blog
di Grillo. Sabina inizia a mandarmi messaggi interlocutori: “Su Grillo mi sono arrivate voci che sul blog
ci sia censura, mi pare che la voce si stia spargendo, d’altra parte è pure una
sua scelta parlare di quello che vuole…” Le rispondo: “No, scusa, ma hai preso un granchio. Non si tratta del suo diritto di
postare ciò che lui vuole. Qui parliamo dei cittadini, i cui contributi lui non
deve filtrare, se non in casi di palesi volgarità o illegalità. I post dei
cittadini sul suo blog sono liberi, e lo sono sempre stati. Lui cancella quelli
scomodi, li censura”.
Sabina di nuovo: “Mi sembra che
il senso della tua battaglia debba essere protezione legale da parte degli
editori per i giornalisti che si espongono, più che una guerra contro la
Gabanelli”. Comprendo subito il pericolo del fraintendimento che talvolta
mi accompagna, e cioè la convinzione di alcuni che io mi stia accanendo per un
rancore personale contro una giornalista, piuttosto che sui principi di una
battaglia per la libera informazione. Replico con fermezza: “Il senso della battaglia è sia contro gli
editori che ci abbandonano sia contro chiunque censuri, se mi permetti.
Gabanelli sta censurando a man bassa e partecipa a Censura Legale. Cosa devo
fare? Il solito ‘compagno di merende’ alla Aldo Grasso o Grillo che con la
censura di Mimun sbraitano furibondi ma con la loro amica no? Fammi capire
Sabina, la censura puzza di meno se la fa una amica tua o mia? Dimmi come ti
posizioni tu, perché qui veramente si fa fatica a capire. La guerra la si fa
contro chiunque censuri e se si chiama Gabanelli chissenefrega. O sbaglio?”.
La Guzzanti non si convince, lo scoglio Gabanelli rimane nel mezzo.
Poi, quando scrivo di Marco Travaglio ciò che avete letto sopra, Sabina cambia
tono, ahimè. Mi premuro di ricapitolarle tutti i punti spinosi, le gravi
contraddizioni e i rischi che accompagnano la celeberrima figura del cronista,
e concludo: “Sabina, quando si diventa
Star non si è più liberi. Perché la fama dà potere, e il potere diventa
prioritario rispetto alla libertà. Rileggi i nomi che ho citato (Ivan
Illich, Noam Chomsky, Howard Zinn, John Pilger, Rachel Corrie… Giovanni
Ruggeri, Giorgio Ambrosoli, Corrado Staiano, Ilaria Alpi, Peppino Impastato,
nda),
quelli non furono e non saranno mai in prima serata Tv. Va fatto altro, e l’ho
scritto e credo che tu l’abbia letto”. Lei: “Caro Paolo, condivido la battaglia perché i giornalisti siano protetti
legalmente dalle testate per cui lavorano, non condivido la battaglia anti
Gabanelli. Non condivido la battaglia anti Travaglio di cui ho stima.” E di
seguito, a proposito dell’impianto generale delle mie critiche ai ‘paladini’
antisistema, la Guzzanti sentenzia: “Francamente
mi sembra un’analisi che nasconde frustrazione e rivalsa mal indirizzate”.
Dunque, sarei in fondo proprio un rancoroso frustrato che fa battaglie anti
qualcuno per rivalsa personale e invidia. Ci risiamo. La mia ultima replica
alla Guzzanti sarà dura, le scrivo che in fondo anche lei, messa di fronte
all’evidenza scritta nero su bianco della replica fra i suoi colleghi
antagonisti della censura e dell’arroganza tipiche del Sistema-potere, sceglie
di non prendere posizione, di non vedere. E’ facile, le dico, e soprattutto
fruttuoso scendere in campo quando c’è da difendere i censurati Vip, dà
visibilità mediatica; ma non vedo in lei lo stesso fervore di giustizia di
fronte alla censura degli anonimi Marisetta, Salvo, Silvia, Francesco…, o di
fronte alla palese violazione della coerenza morale da parte dei suoi amici
Marco, Beppe, Milena, con il pericolo per tanti che ne consegue. Così, amica
mia, si sceglie la propria appartenenza alla ‘parrocchia’, non l’interesse
comune.
(Non mi ha più risposto. Anche l’intervista con la Guzzanti credo si
andata a farsi benedire, ma tant’è)
Beppe Grillo.
Del suo essere ‘’compagno di merende’ della Gabanelli (ma anche di
molti altri), e della censura che questa condizione ha generato nel suo blog ho
già detto. Vi rivelo solo un ulteriore aneddoto assai significativo: una sua
cara amica, di nome Valentina, ex studentessa dell’amico Carlo Belli
dell’università di Perugia e attiva nel meet
up di Losanna, si interessò a Censura
Legale, di cui postò il testo integralmente. Ne seguì uno scambio di mail
col sottoscritto e la sua iniziativa di sensibilizzare Grillo con una
interpellanza personale. Il comico le rispose: “Dì a Barnard che faremo il V2 day anche per lui”. Di questa
risposta faccio notare una sola parola: per
piuttosto che con. Non con i temi che Barnard porta allo
scoperto. In altre parole: se ne stiano a distanza Barnard e ciò che denuncia,
che noi lavoriamo anche per lui
(sic).
In conclusione, quanto sopra dovrebbe
in un pubblico sano destare una profondissima preoccupazione e molte domande.
Ma tornando al punto di partenza, ne rimane una fondamentale: come fa un Paese così intriso nel Sistema e
anche nell’Antisistema dalla perenne tendenza alla parrocchialità a difendere
la libera espressione e ad esprimere una libera informazione?*
Inutile
proporre riforme, leggi, invocare esempi esteri di trasparenza. Fra questi
ultimi, per citarne uno, la britannica BBC è perennemente menzionata. E allora
diamo una breve occhiata a come è gestita la BBC e da chi. Il suo CDA si chiama
BBC Trust; la sua dirigenza è la Executive Board. Il BBC Trust è nominato dalla Regina su consiglio dei ministri del
governo. La Executive Board (16
direttori e direttore generale) è interamente nominata o approvata dal BBC Trust. Riflettiamo: tutta
l’emittente pubblica britannica, esempio mondiale di indipendenza e qualità, è
gestita a cascata da un monarca e dai suoi ministri, attraverso lo strumento
del BBC Trust che di fatto controlla
tutto quanto è sotto di lui. Un monarca, e dei politici oltre tutto neppure di
maggioranza e opposizione, ma solo di maggioranza. E dov’è dunque il tanto
celebrato sbarramento alla potenziale lottizzazione e manipolazione della Tv
pubblica inglese? Non c’è, o meglio, c’è e si chiama ‘sono inglesi’, tutto qui.
Infatti, basta immaginare il trasferimento di un simile sistema di controllo
nel sottobosco corrotto e bizantino della nostra Italia e capite benissimo perché
in queste righe io insisto sul punto imprescindibile: non va cambiata
l’informazione, vanno cambiati gli italiani.
* (e
cosa sarà di Canale Zero di Giulietto Chiesa se prima non affronteranno il
pericolo ‘parrocchia’?)
Cos’è informare. Cosa fa un giornalista.
Ve lo diciamo noi. Ogni
pomeriggio dell’anno i direttori di testata, i caporedattori e giornalisti
assortiti si riuniscono e decidono cosa raccontarci il giorno seguente
(quotidiani), la settimana entrante (periodici), la sera stessa (Tg). Sul tavolo
delle redazioni giacciono pile di notizie, principlamente sotto forma delle
cosiddette ‘agenzie’ (dispacci delle agenzie di stampa), ma anche fatti
raccolti in ogni modo immaginabile, gossip, segnalazioni, e di rado qualche
inchiesta. Dopo alcune ore l’80% di tutta quella roba viene scartato, e il
rimanente 20% viene eticchettato in ordine di importanza: titolo d’apertura per
questo… questo in evidenza… quello meno… quell’altro solo un accenno, e così
via. I criteri di questa selezione e attribuzione di visibilità li sapete bene,
sono spessissimo vergognosi, inutile qui ricordarli o ricordare chi li detta
(dall’esterno delle redazioni). Ma ciò che è assurdo in tutto questo non è
tanto la vergogna dei criteri sopraccitati, quanto il fatto che si dia per scontato
nel giornalismo attuale che informare significhi selezionare notizie e offrirle
ai cittadini. Questo non è informare. Informare correttamente è invece solo
questo: pubblicare, nei limiti degli spazi fisici delle testate, tutte le
notizie possibili, il maggior numero possibile. Punto. La selezione di ciò che
è importante, e dunque a cosa dare il titolo in evidenza, la farà il cittadino
nella sua testa leggendo o guardando le notizie. Ciascuna persona, nella sua
libertà di pensiero e facoltà di discernimento, cioè protagonista dell’informazione, farà i propri titoli a caratteri
cubitali sul giornale o i propri titoli di apertura del Tg, che di conseguenza
nei quotidiani e nei telegiornali dovrebbero scomparire. Ma per potere fare
ciò, le persone devono poter avere tutte le notizie che è possibile dare nei
limiti delle 24 ore, e non una striminzita cernita precotta e opportunamente
enfatizzata rifilatagli ogni santo giorno come l’omogeinizzato al bambino.
I
direttori e le redazioni dovrebbero solo verificare l’attendibilità delle fonti
delle notizie, e scartare solo ciò che palesemente incita alla violenza,
palesemente diffama o palesemente falsifica la realtà. E sottolineo palesemente. Lo spazio per le idee del
direttore, delle firme di prestigio, o dell’editore (e dei loro refrerenti
inevitabili) dovrebbe essere quello della pagina delle opinioni, o degli
editoriali Tv. Parimenti, uno spazio va riservato alle inchieste, saggi ecc. Ma
oltre a ciò, la discrezionalità dei giornalisti non dovrebbe esistere. Questi
dovrebbero essere i limiti del mestiere di chi pubblica notizie.
Utopia?
Mi interessa poco. Di fatto informare dovrebbe essere questo, cioè raccontare
al cittadino quello che lui/lei non può conoscere, tutto quello che lui/lei non può conoscere. Non vedo l’alternativa.
Compagni di merende. Il
mestiere del giornalista, in Italia più che altrove, è anch’esso male
interpretato. La più bella definizione di cosa significhi fare il nostro
mestiere l’ho sentita anni fa da una giornalista straordinaria, l’israeliana
ebrea Amira Hass. Disse: “Il nostro
compito principale è di monitorare le fonti del potere”. Semplice e
cristallino.
Monitorare
le fonti del potere significa scandagliarne quattro primariamente: le tre della
notissima suddivisione di Montesquieu – esecutivo, legislativo e giudiziario –
e l’ultimo arrivato, il quarto potere, cioè proprio l’informazione. Per fare
ciò, il giornalista necessita di una dote sopra a tutte: saper essere un professionista solo. Significa essere un libero battitore, capace di guardare e se
necessario criticare a 360 gradi tutto e chiunque, e cioè gli sconosciuti e i
distanti, ma anche i conosciuti e i compagni di strada. In particolare questi
ultimi, perché è proprio all’interno del proprio cortile di casa (o ‘parrocchia’)
che spesso si annidano i misfatti più difficili da snidare. Ne consegue appunto
che il giornalista non deve mai far comunella con alcuno, con i politici, con i
magistrati, con i colleghi ecc., e deve tenersi da tutti a debita distanza.
Invece
in questo Paese la norma è che i giornalisti facciano ‘parrocchia’ con altri
‘compagni di merenda’, che siano visti a cena con legislatori, in vacanza con
industriali o con giudici, allo stadio con amministratori pubblici, ai
dibattiti a braccetto coi magistrati, ai convegni coi banchieri, e che se ne
vantino. Capita in Italia di vedere dilagare la banda dei quattro col comico, il politico, il cronista e il manager
occulto che fanno e disfano mischiando deplorevolmente giornalismo, politica,
attivismo, business, manipolazione di massa col codazzo di altri volenterosi
giornalisti; capita che un direttore di giornale si vanti dell’amicizia
personale con l’ex presidente del Senato grazie alla cui firma il suo
quotidiano esiste, in un incredibile conflitto d’interessi; capita che la nota
firma di prestigio saltelli con disinvoltura dentro e fuori dai poteri che
dovrebbe monitorare, parte PR man-manager-affarista, parte diplomatico-lacché
di potente famiglia, e poi di nuovo giornalista, tutto in uno; capita che
giornalisti e magistrati si abbraccino a tal punto da sfondare nell’ambito del
movimentismo, quasi ci si aspetta di vederli fare picchetti e volantinaggio di
fronte ai palazzi di Giustizia. Alla faccia dei checks and balances che la tradizione anglosassone ci ha così opportunamente
tramandato. Essere ‘compagni di merenda’, gemelli combattenti, amici degli
amici, cordata di colleghi, commilitoni addirittura, è la norma qui da noi nel
giornlismo.
Insomma,
tutto ciò è grottesco. E nessuno lo nota più. E’ una mischia ormai fuori
controllo.
Ma
così, chi controlla più chi?
In concreto.
Per dare una pennellata di decenza all’informazione
italiana occorre prima di ogni altra cosa puntare il dito sull’informazione che
ogni giorno i cittadini di questo Paese si scelgono, e dire a gran voce che non
vi è soluzione di continuità fra ciò che noi italiani siamo e i media che
abbiamo.
Il lavoro è di ordine epocale, cioè dimenticarci per un
attimo delle Caste e metterci davanti
allo specchio con vergogna. E avere il coraggio di vedere nei contorni delle
nostre fattezze quegli spicchi di Berlusconi, Mieli, Riotta, Lerner, Del Noce,
Petruccioli, Ricci, Costanzo, Chiambretti e Sgarbi – e con essi anche tutte verruche nascoste della compagine
dell’Antisistema – che emergono
dal nostro derma.
Dobbiamo dunque recuperare il senso della nostra importanza
di persone, la nostra autostima, e poiché importanti e dunque ciascuno di noi primo cittadino della vita
pubblica, dobbiamo decretare
inammissibile in noi stessi l’essere meschini, omertosi, disonesti, pigri,
accomodanti, egoisti, qualunquisti, bugiardi, indifferenti. Inammisibile cioè
che lasciamo scorrere il peggio sotto i nostri occhi senza intervenire, senza
pretendere che ciò non accada. Intervenire e pretendere, tutti noi, indipendentemente
dallo status sociale o dalla cultura, e dunque cambiare il nostro mondo, la
politica e l’informazione.
Un percorso lungo e difficilissimo, lo so. Ma in Italia da
qualche anno si era formata una Società Civile Organizzata che prometteva bene.
Si trattava di una miriade di organizzazioni con al seguito schiere di
cittadini attivi potenzialmente capaci di formare un esercito di creatori di
consenso in grado proprio di aiutare gli italiani a fare ciò che ho appena
descritto – aiutare, lo ripeto, chi non ha il tempo, il denaro, l’autostima per
informarsi, per capire, per intervenire; aiutarli a fare quelle tre cose
affiché un giorno si riescano a mettere al centro, a sentirsi imprescindibili e
infine a cambiare questo Paese. Se questo esercito avesse lavorato
diligentemente, pazientemente, capillarmente, e soprattutto orizzontalmente,
avremmo visto in Italia un inizio di cambiamento verso una cittadinanza onesta,
consapevole e capace di partecipare. Capace infine di spazzar via ogni Casta politica o mediatica, poiché le Caste sono solo il riflesso di una
cittadinanza disonesta, inconsapevole e incapace di partecipare. Sarebbe stato
il primo passo verso il goal di cui sopra. Era una promessa, l’unica rimasta.
Invece altro è accaduto, purtroppo. La Società Civile
Organizzata si è voluta munire di Guru, Personaggi, Star, in tutto e per tutto
replicando le strutture verticali e vippistiche del Sistema massmediatico
commerciale. L’ipertrofismo di questi nuovi Guru, come ho già scritto in
passato, ha finito per annullare ancor più la capacità di azione dei singoli
cittadini attivi, rendendoli dipendenti dal carisma, dalle proposte, e dalla
presenza di quelle Star. Infatti oggi in assenza del carisma, della presenza e
delle indicazioni di quei Guru pochissimi cittadini agiscono, e all’indomani
della feste di piazza, delle serate col personaggio o delle manifestazioni,
poco o nulla accade.
Per cambiare questo stato di cose, per cioè riportare i
cittadini attivi all’essenziale ruolo di formatori di consapevolezza nei milioni
di cittadini passivi, dovrebbe idealmente accadere che i primi si scuotessero
dal torpore e dall’adorazione acritica dei loro Guru. Lo auspico.
Nel frattempo però codesti divi dell’Antisistema potrebbero
dare una mano compiendo un atto di responsabilità che sarebbe storico, in
particolare nell’ambito proprio dell’informazione e di come essa va ottenuta da
parte del cittadino. Lo sintetizzo in una
battuta: devono sgonfiare se stessi e aiutare le persone a ingrandirsi.
La prima cosa che questi ipertrofici personaggi dovrebbero fare è di restituire alla gente il potere di informarsi. Lo si fa innanzi tutto incoraggiandoli a coltivare l’abitudine al dubbio, ovvero il dubbio che ciò che gli stessi Guru scrivono o proclamano possa essere parziale, miope, sbagliato, addirittura manipolatorio. Il messaggio di apertura nel rapporto col loro pubblico dovrebbe sempre essere: siamo solo fonti di notizie, non oracoli, ascoltateci, ma a debita distanza, fra le tante altre fonti che ascolterete. Così facendo restituirebbero al pubblico il suo ruolo di protagonista che deve farsi la verità da solo, e non apprenderla pedissequamente da un Personaggio visto come un Vate. Si comincia così. Poi ci si rifiuta di fare i Vday, di avere i megablog, di essere fissi in prima serata Tv come Guest Stars, di fare il club esclusivo dei divi antagonisti, di pavoneggiarsi nelle pagine delle opinioni di riviste patinate, e si dismette interamente quell’abito da eroi della nuova resistenza che così tanti vestono oggi con orgasmo. Gli odierni divi della controinformazione dovrebbero lavorare proprio per ottenere che il pubblico non si relazioni più col giornalista Personaggio/divo/esperto, ma che lo veda sempre come un suo piccolo consulente di informazioni fra i tanti. Per far comprendere a chi legge quale dovrebbe essere l’atteggiamento esteriore e interiore di una cittadinanza sana nei confronti di chi li informa, chiuque egli/ella sia, vi chiedo di immaginare come il top management di un gigante industriale – per es. la Microsoft Corporation – si relazionerebbe con un loro consulente. Lo convocherebbe, gli direbbe senza troppe storie “Prego si faccia avanti, ci dica”, lo ascolterebbe e poi “Bene, grazie, si accomodi”. Punto. E il consulente saluta e si mette da parte piccolo e secondario, per lasciare ai manager l’importante compito esecutivo. Ora, un pubblico di cittadini sani dovrebbe sentirsi come il management, cioè al centro del potere e delle decisioni, e gli odierni giornalisti/divi/esperti si dovrebbero ridurre al ruolo del consulente. Questo dovrebbero fare i Travaglio, Guzzanti, Grillo, Barbacetto o Gomez ecc.
Oggi purtroppo accade l’esatto contrario: il giornalista/divo/esperto troneggia, sentenzia e lancia il diktat, e il pubblico piccolo piccolo lo adora, lo ammira, e peggio, si raggruppa in fans club e ‘parrocchie’ dal seguito quasi sempre acritico. Ed è tristemente emblematico che l’immaginario colloquio che ho sopra descritto sia nella realtà di oggi esattamente il modo in cui, al termine della serata-dibattito con l’esperto/divo, viene invece accolto il pubblico quando chiede timidamente la parola: “Prego si faccia avanti, ci dica”, e poi “Bene, grazie, si accomodi”, cioè torni piccolo piccolo.
In questo modo la gente è solo sospinta a rimanere secondaria, cioè si annulla e non crescerà mai. Così l’Italia non cambierà mai. L’informazione italiana meno che meno.
Paolo Barnard
1) http://www.beppegrillo.it/2008/05/in_memoria_del_giornalista_beppe_alfano.html)
2) Corriere della Sera, venerdì 16/5/2008
3) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm
4)
Ripartire dal basso (subito). Centrofondi.it – L’economia per tutti. 21 sett.
2007
5) http://www.hrw.org/backgrounder/asia/afghan-bck1005.htm
Military Assistance to the Afghan Opposition, Human Rights Watch, Ott. 2001
6) http://www.greenleft.org.au/2003/556/29437 John Pilger: Bush's `war on terror' is a cruel hoax, 1 Ott. 2003, Green
Left Online
7) http://www.disinformazione.it/lettera_paolo_barnard.htm
8) http://www.disinformazione.it/censura_legale.htm
9) http://polinux.altervista.org/index.php
10) Il business della diffamazione. Giovanna Corrias Lucente, Micromega, 29-06-2007
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